di Francesca Fabbri Fellini – Foto di Graziano Villa

“La meraviglia dell’esistenza” non è solo il titolo di un pensiero, ma il respiro stesso dell’arte di Filippo Manfroni. Nato a Rimini nel 1972, cresciuto tra le linee della grafica e le ombre del fumetto, Filippo ha scelto la pittura realista come strumento per raccontare ciò che non si può dire.

Le sue figure non sono semplici corpi : sono confessioni silenziose, frammenti di un’umanità che cerca, che soffre, che ama.

Nel suo ritorno alla terra natale la Romagna, tra le rose piantate alla sua nascita e poi ritratte con sguardo incantato, l’artista ha trovato il suo giardino interiore.

E oggi, attraverso la sua pittura, ci invita a guardare più a fondo, a sentire il peso e la grazia dell’esistere.

I. Percorso e poetica

D: Il tuo percorso è iniziato nel mondo della grafica e del fumetto a Milano. Cosa ti ha spinto a lasciare Milano e immergerti nella pittura?

R: Ho iniziato con la grafica e il fumetto a Milano, ma sentivo che quel mondo mi stava stretto, soprattutto il bianco e nero della Bonelli, che richiedeva una sintesi troppo rigida. Mi sono innamorato del lavoro di Kent Williams, un autore americano che usava colori intensi e uno stile crudo ispirato a Egon Schiele. Quando lui ha lasciato il fumetto per la pittura, l’ho seguito come un discepolo: ritrovare i suoi dipinti su tela è stato per me una rivelazione. Da lì ho capito che la pittura era il mio vero linguaggio espressivo.

Kent Williams – JIU-ROKU-ZAKURA (2) – 2020, tecnica mista su carta –  24 x 18 pollici.

D: Hai definito la pittura come un canale per “espellere” emozioni. Cosa significa per te questo gesto creativo?

R: Se avessi la sensibilità necessaria, mi consacrerei alla poesia, che considero la forma d’arte più elevata. Ma non sentendomi all’altezza di quel linguaggio così sottile, mi affido al mezzo che meglio mi rappresenta: la pittura

D: La figura umana è al centro della tua arte. Cosa cerchi nei corpi che dipingi? È più una ricerca estetica o psicologica?

R: Direi che la mia ricerca è sia estetica che psicologica. Tutto è iniziato nell’adolescenza, un periodo in cui mi sentivo invisibile e cercavo di capire il mondo attraverso l’osservazione, quasi per imitazione sociale. La figura umana è al centro della mia arte perché racconto me stesso: il corpo maschile caucasico è il mio, e quindi è quello che rappresento. A volte esploro anche il corpo femminile, ma alla base c’è sempre un racconto autobiografico. Dipingo i miei bisogni, le mie paure, la mia identità. È un modo per rendere visibile ciò che dentro di me è rimasto a lungo nascosto.

Filippo Manfroni – il Bacio – ©GrazianoVilla

D: Parli spesso di un mal di vivere non romantico. Come si traduce questo concetto nelle tue opere?

R: Sì, in alcune opere il mio mal di vivere emerge in modo molto evidente. Penso alla serie Evanescenze, che ho realizzato e venduto nei primi anni 2000: erano i miei primi tentativi, la pittura era ancora acerba, un po’ goffa, perché sono autodidatta e ho imparato per tentativi. In quei lavori le figure si dissolvono, si perdono nel fumo, diventano quasi nulla. È lì che si riflette la fragilità dell’essere umano, quella delicatezza che cerco di portare su tela ogni volta che dipingo. Non è un dolore romantico, ma qualcosa di più sottile, più quotidiano, che scava piano.

D: Hai mai pensato di abbandonare la figura per dedicarti alla natura? Cosa ti affascina di questo possibile passaggio?

R: Sì, l’idea di dedicarmi alla natura mi affascina moltissimo. Però, nel tempo ho imparato a interpretare la pelle, l’incarnato, e quella è diventata la mia zona di comfort: con pochi gesti riesco a ottenere effetti che sento autentici e potenti. Quando penso di trasferire quella stessa sicurezza nel dipingere un albero, un prato o una nuvola, mi sento meno saldo, comincio a vacillare. È una direzione che desidero esplorare, ma che sto ancora rimandando. So che prima o poi ci arriverò.

Filippo Manfroni – SUN IN MY HAND cm 100-100 2023

D: Qual è il ruolo del silenzio nella tua pittura? E nella vita di chi crea?

R: Il silenzio è importante nella vita, nel lavoro, come nella musica. La musica è fatta di silenzi, di momenti pieni e vuoti. Io ho bisogno moltissimo del mio tempo, del mio silenzio. Nella pittura lo insegna molto l’acquerello, dove il bianco è silenzio ed è fondamentale lasciarlo. Nella pittura a olio questa cosa si vede meno, ma si può riscontrare anche attraverso quegli enormi pieni, che in realtà sono silenzi, sono privi di dettagli. L’occhio ha sempre bisogno di trovare respiro.

D: In un mondo che corre veloce, come si impara a osservare davvero?

R: Ci sono tanti modi per imparare a osservare, ma ti faccio un esempio legato al mio lavoro. Spesso mi propongono di esporre in luoghi molto frequentati, come ristoranti o spazi mondani, dove si vivono momenti intensi di socialità. E io rispondo sempre che sarebbe come proiettare un film in piazza: il film ha bisogno di silenzio, di tempo, di concentrazione. Lo stesso vale per i miei dipinti. La pittura non si presta a uno sguardo distratto, non cattura come una fotografia. Richiede tempo, attenzione, una disponibilità alla contemplazione. E la contemplazione, oggi più che mai, è un atto raro e prezioso.

Filippo Manfroni – ©GrazianoVilla

II. Le rose e il legame con la terra

D: Negli anni 80 tuo padre piantò delle rose quando fu costruita la vostra casa. Le osservi da quando eri bambino. Hai desiderato dipingerle da sempre, perché lei hai dipinte solo ora? Cosa rappresentano per te quelle rose? È un gesto simbolico, un legame con la terra, o qualcosa di più intimo?

R: È un percorso fatto di tante tappe. Il primo tentativo risale a tre anni fa, quando stavo lavorando per una galleria di Capri e volevo proporre qualcosa di diverso: dipinsi delle rose su fondo azzurro. Era venuta fuori una bella opera, che rientra nel mio discorso sulla natura. In realtà, ciò che mi affascina di più sono le nuvole, gli scorci ampi, ma ci arriverò con il tempo. I fiori sono arrivati prima. Qui in studio ho un’opera che si intitola Tulipani bianchi, dove ho interpretato dei tulipani che mi hanno conquistato. Il fiore è un miracolo, e dipingerlo è come cercare di afferrare qualcosa di sacro.

Filippo Manfroni – NEL CIELO d’ESTATE cm 150-150 2023

D: Hai mai pensato che l’arte possa essere una forma di giardinaggio dell’anima?

R: Sì, credo che l’arte abbia davvero il potere di ripulire l’anima, di fare ordine dentro. Ma non è sempre così semplice. Quando l’arte diventa mestiere, entrano in gioco tante dinamiche: la prestazione, il dovere, la necessità di vendere. E quella purezza, quella funzione rigenerante, rischia di perdersi. Io cerco comunque di mantenerla viva, anche se so che, per quanto mi sforzi, devo piacere a un pubblico. Altrimenti dovrei fare un altro lavoro. Ma io voglio fare questo, e trovare in questo mestiere il mio spazio di verità.

III. Consigli ai giovani visionari

Filippo Manfroni – Orizzonte-(cm-150-150)-2022

D: Sei autodidatta nella pittura. Qual è il consiglio più importante che daresti a un giovane visionario che vuole intraprendere un percorso artistico fuori dai canoni?

R: Credo che, in fondo, ogni percorso artistico sia già fuori dai canoni, perché vivere d’arte è di per sé una sfida non convenzionale. Il consiglio più importante che posso dare a un giovane visionario è di fare un esame di realtà molto profondo: chiedersi se si hanno davvero gli strumenti, la forza e la determinazione per affrontare un cammino lungo, spesso incerto, dove i risultati arrivano con tempi imprevedibili. E proprio per questo, suggerisco sempre di avere anche un piano B e un piano C. Non per rinunciare, ma per proteggere il sogno.

D: Cosa significa per te vivere d’arte? È una scelta, una necessità, o una forma di resistenza?

R: Per me vivere d’arte è insieme una scelta, una necessità e una forma di resistenza. Mi piace molto la definizione di felicità che avevano i greci: Eudamonia, avere un ‘buon demone’, una felicità intesa come scopo della vita, un benessere profondo e un compimento del proprio potenziale, distinto dal semplice piacere immediato. E il mio demone chiede questo, nient’altro. Non esiste per me la possibilità di fare altro, perché è l’unico modo che ho per essere autenticamente felice.

Filippo Manfroni – ©GrazianoVilla

D: Qual è il primo gesto che un giovane artista dovrebbe compiere ogni mattina?

R: Ci sono tante abitudini che considero utili, alcune le tengo come monito, anche se spesso non riesco a seguirle. La prima cosa che faccio, immancabilmente, è cercare un buon caffè. Ho visto di recente un’intervista a un artista che, come gesto di riscaldamento, produce immagini veloci per entrare nel flusso creativo. È il suo modo. Io, invece, quando ho un progetto chiaro davanti, divento un treno in corsa: non ho bisogno di rituali, vado dritto. La mattina è il mio momento migliore, riesco a svegliarmi prestissimo e dipingere anche quando è ancora buio. La sera, invece, non funziona. Questo mestiere, almeno per come lo vivo io, è pieno di incertezze. Finché non ho un progetto strutturato e avviato, faccio fatica a partire.

D: Nel tuo realismo pittorico c’è sempre qualcosa che vibra oltre la pelle. Cosa diresti a chi ha paura di non essere ‘abbastanza’ per raccontare il mondo?

R: Il mio consiglio è di provare tanto, sempre. Sperimentare senza paura. Io stesso ho portato nella pittura l’esperienza maturata in oltre vent’anni di lavoro nella pubblicità, dove il mio ruolo di visualizer mi ha insegnato a condensare un’intera idea in un’unica immagine. Ancora oggi questo approccio è fondamentale per me: spesso è il titolo a suggerire la chiave di lettura, ma dietro c’è sempre un grande lavoro di tentativi. Tutto questo, però, deve essere accompagnato da un esame della realtà molto onesto. Bisogna capire se si ha davvero la possibilità di farcela. Io, per esempio, da ragazzo avrei voluto fare il calciatore, ma mi sono reso conto che, pur essendo circondato da compagni meno dotati, erano comunque più bravi. E questo bisogna saperlo riconoscere. Serve lucidità, oltre alla passione.

D: Hai mai avuto un momento in cui l’arte ti ha salvato? Come si riconosce quel momento?

R: Se l’arte mi ha salvato, non lo so con certezza. Sento spesso persone raccontare di come li abbia tenuti in equilibrio, aiutati a superare momenti difficili, ma per me non è stato così. Quello che posso dire è che l’edificio in cui ci troviamo ora, quando avevo dieci anni, sapevo già che sarebbe stato il luogo del mio studio. Non era questa stanza, era un’altra, più in là, ma sapevo che in questa casa avrei dato forma alle mie fantasie. Non sapevo se sarebbe stato attraverso l’arte o altro, ma sentivo che qui ci sarebbe stato il mio spazio creativo.

D: Cosa deve imparare un giovane visionario: a vedere, a sentire, o a dimenticare?

R: Bisogna imparare a sentire. Sì, sentire davvero. Perché chi ha una visione deve saper percepire e tradurre ciò che ha dentro. Va detto però che questa è una forma d’arte come tante, e se si vuole dedicarle tutto, deve anche riuscire a generare reddito. Altrimenti siamo costretti a deviare le energie altrove, e ciò che resta lo incanaliamo qui. Ma se si decide di fare sul serio, allora bisogna alzare il livello, mettersi in gioco completamente e ascoltare profondamente ciò che si ha dentro. Perché è proprio quello che interessa alle persone: il mondo nascosto che portiamo dentro. Riuscire a capirlo, vederlo, tradurlo e offrirlo agli altri è un’operazione delicata, complessa, ma profondamente necessaria.

Filippo Manfroni – Rose-4

D: Se potessi regalare un solo colore a chi inizia oggi, quale sarebbe e perché?

R: Ho scoperto la magia del partire dal nero, e per me è stata una vera rivelazione. Di solito si disegna su fogli bianchi, aggiungendo ombre con il colore o la matita. Ma ricordo che, forse ai tempi della scuola del fumetto o dell’istituto d’Arte di Urbino, qualcuno mi disse: “Parti dal nero, porta la luce”. Non più ombre, ma luce che emerge dal buio. Da allora, quel principio è diventato uno dei miei esercizi più profondi. Vorrei regalare tanti colori, certo, ma se dovessi scegliere un dono simbolico, regalerei proprio il nero. Perché è da lì che tutto può nascere.

D: Che titolo daresti alla tua Biografia se si pubblicasse un libro?

R: Mi piacerebbe intitolarla “Ho provato a smettere più volte”. Perché è vero: la frustrazione, a volte, arriva a livelli altissimi. Ci sono stati anni in cui lavoravo nella pubblicità, un mestiere che mi garantiva stabilità economica, ma che non era la mia passione. I tempi non erano quelli che desideravo, e così, ogni tanto, mettevo da parte quel lavoro e mi rifugiavo nella pittura. Ma erano solo ritagli di tempo, cinque o dieci minuti rubati qua e là, giusto per ricordarmi: “Mamma mia, quanto sei bravo a fare questo.” Eppure, venivo pagato per fare altro. È profondamente frustrante dedicarsi a qualcosa che non senti davvero tuo.

D: Immagina che un essere venuto da un altro pianeta visiti una tua mostra. Quale messaggio vorresti che portasse con sé tornando a casa?

R: Mi piacerebbe che si portasse via l’idea di ciò che gli esseri umani sono capaci di creare. Non parlo dell’utile, ma dell’inutile apparente, quella dimensione che diventa preziosa solo quando tutti i bisogni primari sono soddisfatti. È lì che, secondo me, nasce il vero genio: nella capacità di inventare, di manifestare qualcosa che non serve a sopravvivere, ma a esistere in modo più profondo. Quella è la magia dell’arte, ed è ciò che vorrei che si vedesse nei miei quadri.

D: Tre aggettivi per definirti ?

R: Direi coraggioso, perché ogni giorno è una nuova prova: non si arriva mai davvero, e bisogna sempre dimostrare, prima di tutto a se stessi, che ciò che si fa ha senso. Curioso, perché la curiosità è il motore di tutto, senza quella, non si crea nulla. E infine, contento. Nonostante le difficoltà, che sono tante, posso dire di essere contento. Perché faccio quello che sento.

Conclusioni :

Filippo Manfroni non offre formule, ma visioni.

Ai giovani che sognano di vivere d’arte, suggerisce di coltivare il dubbio, di accogliere il silenzio, di osservare con lentezza.

Perché l’arte non è una fuga, ma un ritorno: alla verità, alla fragilità, alla bellezza che ci abita.

Come le rose che lo hanno accolto alla nascita, ogni gesto creativo può fiorire nel tempo, se nutrito con cura e autenticità.

E forse, proprio lì, tra le spine e il profumo, si nasconde la meraviglia dell’esistenza.

Biografia di Filippo Manfroni

Filippo-Manfroni-©GrazianoVilla

Filippo Manfroni nasce a Rimini il 20 giugno 1972. Dopo il diploma in grafica pubblicitaria presso l’Istituto d’Arte di Urbino, si trasferisce a Milano per studiare fumetto, dove si forma come illustratore e visualizer collaborando con importanti agenzie pubblicitarie. Nel 2000 torna a Rimini e intraprende il suo percorso pittorico da autodidatta. La sua arte, centrata sulla figura umana, esplora il disagio dell’esistere con uno sguardo iperrealista e sensibile. Le sue opere sono state esposte in gallerie italiane e internazionali, da Ferrara a Miami, e raccontano la meraviglia dell’esistenza in tutte le sue sfumature.

Citazione di Filippo Manfroni:

“Imparare ad osservare è un dono. Si apprendono un sacco di cose anche solo guardando.”

Francesca Fabbri Fellini & Graziano Villa – BIO

Francesca e Graziano: due “Life Travellers”, due esploratori instancabili in viaggio continuo alla ricerca della Bellezza e della Bontà nel mondo. Raccontano ciò che incontrano — persone, luoghi, natura — con uno sguardo curioso e incantato, guidati dalla meraviglia e da quella parte infantile che custodiscono gelosamente dentro di sé.

🎤 Francesca mette a frutto la sua lunga esperienza da giornalista nei principali network radio-televisivi, trasformandola in una sorta di “bastone da rabdomante” capace di intercettare con sensibilità storie, volti e tematiche che meritano di essere raccontati. Le sue interviste si concretizzano in testi e video straordinari — così dicono di lei — capaci di emozionare e far riflettere.

📸 Graziano, con decenni di esperienza nella fotografia professionale — ritratto, reportage, still life, moda — cattura l’anima dei personaggi e dei contesti con immagini evocative, poetiche e potenti. Ogni scatto è il riflesso della passione con cui interpreta il mondo.

✨ Insieme, formano un duo vibrante e complementare, sempre alla ricerca di storie che sappiano dare emozioni.

Graziano Villa e Francesca Fabbri Fellini – ©GrazianoVilla – Timbavati National Park – Southafrica