Intervista di Francesca Fabbri Fellini – Foto di Graziano Villa

Incontrare il conte Alessandro Ferruccio Marcucci Pinoli di Valfesina (nato a Pesaro il 20 luglio del 1943 da una famiglia nobile millenaria) è stato come entrare in un mondo dove sogno, cultura e visione si intrecciano naturalmente.

Ho avuto il privilegio di dialogare con lui all’Alexander Museum Palace Hotel di Pesaro, uno dei sei alberghi della sua catena: Vip Hotels.

Alexander Museum Palace Hotel – Pesaro

L’Alexander è un luogo che racchiude perfettamente la sua anima: era un vecchio tre stelle, fatiscente e chiuso. Si chiamava già “Alexander” quando lui lo acquistò, ma lo trasformò radicalmente, rendendolo un vero museo abitabile, e ribattezzandolo “Alexander Museum Palace”AMP, curiosamente lo stesso acronimo delle sue iniziali: Alessandro Marcucci Pinoli.

Questa lunga conversazione ha rivelato un uomo che ha attraversato la vita con eleganza e passione.

Papa Pio IX

Da bambino voleva diventare Papa, anche perché nella sua Famiglia c’è stato Papa Pio IX, e da piccolo pensate fu preso in braccio da Papa Pio XII.

Il ‘conte Nani’, questo è il suo nome d’arte, è artista raffinato, collezionista instancabile, imprenditore visionario, marito devoto, padre premuroso e nonno affettuoso di sei nipoti – testimoni viventi della sua eredità umana e creativa.

Ma soprattutto, ho avuto l’onore di conoscere un sognatore, uno di quelli che non smettono mai di immaginare il bello e di volerlo condividere con il mondo, continuando a giocare con la bellezza.

Nel salutarlo, gli ho chiesto quale messaggio volesse lasciare ai giovani perché

credo sia fondamentale raccogliere l’essenza di una vita così piena.

E lui, con una semplicità che racchiude un’etica profonda, ha risposto……ma lo scoprirete solo alla fine della mia intervista.


D: L’Alexander Museum Palace Hotel è stato definito ‘una performance permanente’. Può spiegarci che cosa s’ intende con questa definizione?

R: Perché l’inaugurazione non è stata un punto d’arrivo, ma l’inizio di un viaggio.

Da quel giorno, ogni venerdì l’arte prende vita all’Alexander Museum Palace. Un venerdì sì e uno no, inauguro una mostra: pittura, scultura, fotografia… linguaggi diversi, stessa passione. Negli altri due venerdì del mese, invece, presento libri d’arte, creando uno spazio dove la parola affianca l’immagine. Così, l’albergo continua a essere un museo vivo, in movimento, dove l’arte non si espone soltanto, si racconta e si rinnova.

D: Com’è nata l’idea di trasformare un hotel in un museo vivente? Qual è stata la scintilla iniziale?

R: Come spesso accade, dietro un progetto ci sono molte cause che precedono l’effetto. Avevo già cinque alberghi e volevo crearne uno diverso, per evitare di farmi concorrenza da solo. Così, per differenziare, ho scelto di dedicarlo all’arte. La seconda ragione è che ero già collezionista: possiedo 3500 opere di arte contemporanea e conoscevo tantissimi artisti. Ogni camera dell’Alexander Museum Palace è stata concepita da un artista. Le camere sono 63, ma alcune sono state realizzate in collaborazione, quindi gli artisti coinvolti sono stati ben 75. A queste si aggiungono 25 opere esposte al piano terra: in totale, 100 artisti coinvolti in quattro anni di lavoro. Un’impresa che mi ha fatto impazzire… ma è stato bellissimo!

Alexander Museum Palace Hotel – Pesaro

D: Conte Nani, ricordo velocemente alcuni di questi artisti contemporanei, a partire da Giò Pomodoro, Enzo Cucchi, Mimmo Paladino. C’è stato per lei uno dei contributi più significativi?

R: Sono come i figli tutti uguali, ognuno ha la sua storia dietro. Cinquanta artisti li ho scelti per fare tutti gli stili d’arte contemporanea, mentre tredici li ho fatti scegliere ai grandi critici d’arte italiani, tutti i miei amici, Philippe D’Averio, Vittorio Sgarbi, Achille Bonito Oliva. Ero curioso di vedere se c’era una differenza tra quelli che avevo scelto io e quelli che hanno scelto loro, invece sono tutti di alto livello.

D: Lei è albergatore, scrittore, poeta, pittore, scultore, è stato ambasciatore, console. Come riesce a conciliare tutto questo?

R: Primo perché ho 82 anni, quindi nel tempo uno fa tante cose. La seconda perché dormo solo quattro ore, mi bastano e quindi ho 20 ore a disposizione.

D: Lei ha detto che l’arte è il suo modo per restare bambino e continuare a sognare.

R: Sì, Francesca. Lo ha scritto anche il prof. Cacciari nella postfazione di uno dei miei libri di poesie: “Beato te che resti sempre bambino.” Credo profondamente che non ci sia dono più grande del preservare dentro di noi quella parte infantile, quella scintilla di stupore, ingenuità e desiderio di meraviglia.

Il bambino che vive in ognuno di noi è fragile ma prezioso. Va protetto, coltivato, nutrito. È lui che ci permette di guardare il mondo senza cinismo, di cercare risposte con entusiasmo, di sognare senza paura del giudizio. Nella vita adulta, tra responsabilità e progetti, è facile dimenticarlo… eppure, è proprio quel fanciullo che ci restituisce autenticità, creatività e capacità di amare senza misura. Essere adulti senza smettere di essere bambini: forse è questa la vera arte del vivere.

D: L’Arte Contemporanea continua a dividere il pubblico.

R: Quando mi capita di intervenire in conferenze universitarie dedicate Arte Contemporanea, condivido sempre due riflessioni. La prima: anche Raffaello, Michelangelo e Leonardo erano contemporanei nel loro tempo. Il termine non va demonizzato, non è affatto una parolaccia. La seconda: i veri artisti sono spesso incompresi dai loro contemporanei, perché portano visioni nuove, non già viste. Se fossero immediatamente compresi, probabilmente non starebbero innovando.

Federico Fellini – ©Davide-Minghini – Archivio Biblioteca Gambalunghiana

I grandi precursori, come lo fu Fellini, sono generalmente compresi dalle generazioni successive, non dai coetanei. In Italia, si contano milioni di persone che si definiscono artisti, ma non esiste un titolo accademico che certifichi questa identità. È un mondo in cui tutti si sentono artisti, un po’ come accade con i poeti. Ma la verità è che molti sono artisti della domenica. I veri artisti, quelli autentici, sono rari e quasi sempre fraintesi. Per entrare davvero in sintonia con loro, serve umiltà, desiderio di conoscere, volontà di comprendere e capacità di sognare.

D: L’ Alexander Museum Palace Hotel è anche un laboratorio di sperimentazione.

R: Sì, Achille Bonito Oliva, è venuto nel 2009 quando si celebrava il Centenario dalla pubblicazione del ‘Manifesto del Futurismo’ di Filippo Tommaso Marinetti sul Figaro. E mi disse: “Nani, hai fatto qualcosa che va ben oltre ciò che immaginavano i Futuristi. Se loro uscivano dalle botteghe per portare l’arte tra la gente, tu hai rovesciato il paradigma: hai creato un luogo in cui la gente vive l’arte, dove ogni dettaglio respira creatività. Con il tuo Alexander Museum Palace Hotel, non inviti solo a osservare, ma costringi – con dolcezza e visione – ad abitare l’arte, a dormirci dentro, a farne esperienza quotidiana”.

Manifesto del Futurismo

D: Guardando al futuro c’è un progetto che le sta a cuore?

R: Il progetto futuro è la mia ‘Rivoluzione del Buon Esempio’.

L’unica rivoluzione possibile cara la mia Francesca è quella del buon esempio.

Non credo nelle rivoluzioni armate, né nelle grandi dichiarazioni che poi portano a nulla. La mia è una rivoluzione silenziosa, quotidiana: quella del buon esempio. Quando l’ho raccontata per la prima volta all’amico Cacciari, mi ha preso per matto. Mi ha detto: “Ma vai a quel paese!”, con qualche parola più colorita. Allora l’ho fermato: “Aspetta, fammi parlare. Non voglio fare il Gandhi, né il pacifista utopico. Voglio fare qualcosa che chiunque può fare, ogni giorno, da solo”.

Penso che l’unica vera rivoluzione possibile oggi sia questa: vivere dando il buon esempio. È l’amore, non la bellezza di Dostoevskij, a salvare il mondo. Non si impara l’amore leggendo libri, si impara da piccoli, nei primi anni di vita, osservando, ascoltando, sentendosi amati. Lo dicono anche i gesuiti dai quali ho studiato: ‘Datemi un bambino nei primi 7 anni di vita e vi mostrerò l’uomo’.

Il concetto alla base è pedagogico e profondo: i primi anni di vita sono fondamentali per la formazione del carattere, dei valori e dell’identità di una persona. I Gesuiti, noti per il loro impegno nell’educazione, credevano che l’influenza ricevuta nei primi anni fosse decisiva per il futuro dell’individuo. L’esempio, l’ambiente e l’amore ricevuti nei primissimi anni di vita plasmano profondamente il modo in cui una persona crescerà e si relazionerà con il mondo.

Gruppo di culture del Conte Nani – ©GrazianoVilla

Io, questa lezione, l’ho imparata anche da adulto. Mi ricordo quando, in Sud America dove sono stato ambasciatore, dopo aver studiato spagnolo intensivamente per sei mesi, venivo corretto da un bambino di due anni e mezzo. Aveva sempre ragione lui! Non aveva mai aperto un libro di sintassi, ma parlava con naturalezza e precisione. E lì ho capito: l’esempio vale più di mille insegnamenti teorici.

La mia rivoluzione è una semina lenta, non si vedono subito i frutti. Ma se cresciamo una generazione immersa in un clima d’amore, ci sarà meno violenza, più comprensione, più rispetto. Sono molto credente, anche se non cattolico. Nella mia famiglia ci sono papi e beati, e credo nella spiritualità concreta, quella che si vive e non si predica soltanto.

Non mi interessa parlare solo di pace. Sono 6.000 anni che non esiste un anno senza guerre. Ma se educhiamo all’amore, forse possiamo cambiare il futuro. Questo è il mio sogno, Francesca, ma anche il mio progetto concreto. E ogni volta che vedo i miei figli e i miei nipoti abbracciarsi, baciarsi, vivere con rispetto, penso che forse ci sto riuscendo.

D: Nani, scusa se passo al tu, la tua Rivoluzione del Buon Esempio non è solo ispirazione… è una chiamata all’azione! Io ci sono: scendo in campo con te, e porto anche scarpe comode, perché il cammino dell’amore va fatto sul serio.

R: Francesca, che meraviglia sentirlo! Se siamo almeno in due, la rivoluzione ha già cominciato a camminare. Mettiamoci in viaggio, con cuore, visione e quella sana follia che serve a cambiare il mondo.

Moonlight-Promenade – ©GrazianoVilla

D: Insieme a tua moglie Paola siete un esempio raro di amore e complicità: 62 anni di matrimonio, due figli maschi che portano avanti con successo la vostra catena Vip Hotels – tre a Urbino e tre a Pesaro – e ben sei nipoti. Guardando indietro, che bilancio dai alla vostra straordinaria avventura familiare e imprenditoriale?

R: Ho due anni più di Paola. Ci siamo incontrati tra i banchi di scuola, ma io ero già lì ad aspettarla: quando è arrivata su questa terra, io c’ero da due anni. E da allora non ci siamo più lasciati.

Non ci si crede, ma quando l’ho vista ho detto questa me la sposo. Aveva 16 anni.

D: Parli spesso di ‘giocare con la bellezza’. Che cosa significa per te questo concetto?

R: Per me bellezza, bontà e giustizia sono tutto. Il resto mi scivola addosso: non mi interessa, non mi appartiene. Quando sento parlare di malvagità, di violenza, di cronaca nera che invade i giornali, provo una profonda amarezza. Scrissi persino al Corriere della Sera, insistendo con forza, finché li convinsi a dedicare uno spazio al Buon Esempio. Chiedevo soltanto mezza pagina, mi diedero un intero fascicolo.

È durato sei mesi. Poi è finito, perché non c’era pubblicità. Perché il buono non vende, non attira pubblicità. Alla gente, purtroppo, sembra piacere la cattiveria. Ma io credo che non sia colpa loro: è colpa dei cattivi esempi che li hanno circondati fin da piccoli. Per questo insisto nel proporre il contrario, e continuo a crederci: un buon esempio è una scintilla che può accendere un cambiamento vero.

Alexander Museum Palace Hotel – Pesaro

D: Qual’è il messaggio che vorresti trasmettere ai tuoi ospiti attraverso l’esperienza dell’Alexander Museum Palace Hotel?

R: Parlo di bellezza, di un messaggio luminoso, intriso di speranza e sogno. Un messaggio che sfiora la fede e si colloca quasi fuori dal tempo, oltre la realtà concreta. Oggi, purtroppo, la spiritualità sembra essere sparita dal discorso pubblico: non se ne parla più né in chiesa né tra i sacerdoti.

L’unico linguaggio che ancora riesce ad avvicinarci alla trascendenza è l’Arte. Solo l’Arte, quando ci si ferma davanti a un quadro, ha il potere di isolarti, di sospendere il quotidiano, di spezzare il ritmo frenetico del materialismo assoluto. È lì che inizia il sogno, ed è lì che l’anima respira.

D: Chi ha rappresentato per te il pilastro fondamentale nella costruzione del tuo pensiero e della tua visione del mondo?

R: Non sono nato fortunato, sono nato eccezionalmente privilegiato. Sono nato con dodici camicie di seta addosso, come si dice, e una vita che mi ha sorriso in ogni direzione. Ma la vera ricchezza, la più rara, è stata mia nonna Lucia, nonna materna. La donna più colta che io abbia mai conosciuto. – Ho incontrato tanti personaggi colti: ho pranzato per anni con Carlo Bo, ho conosciuto premi Nobel quando ero Ambasciatore; oggi sono in confidenza con Gallimberti e Cacciari. Eppure nessuno è all’altezza di lei.

Carlo Bo

Nonna Lucia parlava inglese, francese e tedesco come fossero la sua lingua madre, cresciuta con nurses straniere fin da bambina. Io la chiamavo “Lucio”, non so perché, è uscito così da piccolo. Lei non leggeva manuali scolastici, ma testi di filosofi autentici. In lingua originale, con rispetto per il pensiero, non per la traduzione. Diceva sempre che una persona dev’essere coerente con ciò che ha studiato.

Con lei passavo le giornate a leggere. Alle sette del mattino era già immersa nei suoi testi, e io non potevo che seguirla. In quel periodo leggevo un libro al giorno. Era il nostro ritmo, il nostro respiro condiviso.

E da allora l’ho capito: la cultura non è una decorazione, è tutto. È ciò che forma, che salva, che dà senso. E se oggi continuo a cercare, a studiare, a dialogare, è perché da mia Nonna ho ricevuto il dono più prezioso: la sete infinita di conoscenza.

D: E tu con i tuoi 6 nipoti che Nonno sei stato?

R: Con la mia nipote più grande, che oggi ha 25 anni, ho seguito le orme di mia Nonna: ho investito tempo, amore e fiducia nella sua crescita, proprio come lei fece con me. E i risultati si vedono. È una ragazza straordinaria, si è appena laureata in Giurisprudenza con 110 e lode, la sua tesi è stata pubblicata. Ha ricevuto l’abbraccio accademico e una menzione speciale: il suo nome resterà inciso nell’università. È il segno tangibile di un percorso costruito con dedizione e passione.

D: Mi parli di tuo padre che è colui che ti ha iniziato all’arte, un papà che  ti ha insegnato ad “amare tutti e a parlare bene di tutti”, e tu non l’ha mai sentito dire male di nessuno.

R: Mio Padre viveva stabilmente a New York dal 1956. Nel 1973 all’età di trent’anni ho cominciato ad accompagnarlo ogni tanto in America. Volavamo con le LAI, le Linee Aeree Italiane, che erano qualcosa di straordinario: hostess di una bellezza incredibile, un vero cuoco a bordo, pasti di livello. Sembrava di viaggiare in un sogno.

Là, mio Padre conosceva tutti, dai Rockefeller in giù. Frequentava ambienti raffinati, in particolare le gallerie d’arte, dove oltre ai capolavori antichi si affacciavano giovani artisti promettenti. È lì che ho avuto la fortuna di incontrare personalità straordinarie: Jackson Pollock, Alexander Calder. Artisti rivoluzionari che a mio padre non piacevano, lui preferiva l’arte classica, opere di Giotto, che venivano vendute a cifre astronomiche. Ma io ero affascinato dalle nuove visioni, dai linguaggi non convenzionali. E così, un po’ per istinto, un po’ per audacia, ho iniziato a comprare opere direttamente dagli artisti. Mai da galleristi. Sempre con pochi soldi, ma con grandi emozioni. Quei primi acquisti, ricordo dei pesci particolari, sono stati l’inizio della mia collezione. Erano affari da niente, ora sono patrimonio incalcolabile.

D: Nani ha vissuto più vite, quante?

R: Si, Francesca ho vissuto quattro vite, tutte intensamente. La prima è quella professionale: ho iniziato come avvocato e professore universitario, poi ho servito come console e ambasciatore. Una carriera che mi ha portato lontano, nel cuore delle relazioni internazionali.

La seconda è stata la vita artistica, quella che mi ha acceso dentro. Ho sempre avuto una passione viscerale per l’arte. I manichini che vedi davanti all’Alexander sono miei: li realizzo io. È una forma di espressione che mi appartiene da sempre. Una vera seconda pelle.

La terza vita è quella imprenditoriale. Ho costruito sei alberghi e mi sono reso conto di avere il bernoccolo per gli affari. È un talento che non si insegna, ce l’hai o non ce l’hai. E nel mio caso, era naturale.

La quarta è la vita sociale. Per vent’anni ho partecipato ai pellegrinaggi a Lourdes con i Cavalieri di Malta. Ho dato una mano come volontario in momenti drammatici: dall’alluvione di Firenze, fino al penultimo terremoto. E sempre come volontario vero. Perché il volontariato, per me, non è un’etichetta: è servizio puro, senza stipendi nascosti o ferie camuffate. È essere lì, quando serve, con il cuore e con le mani

Vittorio Sgarbi – ©GrazianoVilla

D: L’Hotel Alexander, è l’unica struttura italiana nella top 10 dei più prestigiosi hotel europei di design, è stato dichiarato Opera non trasportabile” alla Biennale di Venezia del 2011, inaugurato il 28 giugno 2008 da Vittorio Sgarbi, è qualcosa di unico. E molti ne hanno parlato e scritto nel corso degli anni.

R: Una delle emozioni più grandi me l’ha regalata Mr. Daniel Libeskind, uno dei più grandi architetti decostruttivisti al mondo. Polacco d’origine, visionario, autore del Museo Ebraico di Berlino e del Masterplan del World Trade Center di New York. Mr. Libeskind aveva letto un reportage su di me su Resorts, che mi aveva dedicato dieci pagine. Curioso e affascinato, è partito da Bologna dove era di passaggio per venire a vedere di persona il mio progetto a Pesaro. Voleva visitare tutte le camere, ma quattro erano occupate e molte lo sono quasi sempre. Nonostante tutto, si è innamorato all’istante.

Daniel Libeskind

Qualche giorno dopo mi ha scritto parole che porterò sempre con me: “Ho progettato e visitato gli alberghi più lussuosi al mondo, ma questo è diverso… è migliore. Perché qui l’arte è più del lusso.” Poi mi disse: “Vedi, certi hotel di lusso, dopo dieci anni, perdono smalto, diventano superati, vistosi, persino kitsch. Il tuo Alexander Museum Palace Hotel l’hai pensato per farlo durare. Col tempo, acquista carattere e bellezza. Diventa parte del paesaggio, non un’imposizione”.

D: Cosa ti emoziona di più nel vedere i tuoi ospiti interagire con le opere d’arte?

R: Mi commuove quando mi ringraziano e dicono: ‘Grazie per averlo immaginato, grazie perché esiste un hotel così’. Ci sono ospiti che tornano tre, quattro volte l’anno, e ogni volta scelgono una camera diversa, come se fosse un percorso da esplorare. Alcuni entrano in una stanza e inizialmente non apprezzano lo stile, poi, dopo averci vissuto, tornano da me e confessano: “Sa che a forza di dormirci, ho finito per amarla?”

D: Come definiresti il ‘Il gioco dell’Arte’? E’ più magia, ribellione o riflessione?

R: Tutte e tre.

D: Qual’ è la definizione che meglio racchiude la tua essenza?

R: Non mi considero né un artista né un poeta. Mi sento, piuttosto, un artigiano delle sensazioni. Attraverso le poesie e i miei libri cerco di dar forma alle emozioni, di tradurle in parole. Ho scritto 26 libri, ne ho pubblicati 19. Gli ultimi tre sono usciti con Laterza, la più grande e antica casa editrice italiana, quella che ha pubblicato autori come Croce e Gentile. I miei ultimi due volumi sono dedicati alla filosofia e all’arte: territori in cui, ancora una volta, cerco di raccontare il “sentire”.


È stato un onore incontrare un uomo, che in 82 primavere ha saputo essere tutto questo: artista raffinato, collezionista appassionato, imprenditore visionario, marito devoto, padre premuroso e nonno di sei nipoti, testimoni privilegiati della sua eredità umana e creativa. Ma soprattutto, un sognatore di quelli che non smettono mai di immaginare il bello e di costruirlo con le proprie mani.

Nel salutarlo, gli ho chiesto quale messaggio volesse lasciare ai giovani, perché credo sia importantissimo raccogliere l’eredità di una vita così piena.

E lui, con semplicità disarmante, mi ha risposto:

“Cercate di comportarvi bene, cercate di dare il Buon Esempio”

Conte Nani – ©GrazianoVilla

Francesca Fabbri Fellini & Graziano Villa – BIO

Francesca e Graziano: due “Life Travellers”, due esploratori instancabili in viaggio continuo alla ricerca della Bellezza e della Bontà nel mondo. Raccontano ciò che incontrano — persone, luoghi, natura — con uno sguardo curioso e incantato, guidati dalla meraviglia e da quella parte infantile che custodiscono gelosamente dentro di sé.

🎤 Francesca mette a frutto la sua lunga esperienza da giornalista nei principali network radio-televisivi, trasformandola in una sorta di “bastone da rabdomante” capace di intercettare con sensibilità storie, volti e tematiche che meritano di essere raccontati. Le sue interviste si concretizzano in testi e video straordinari — così dicono di lei — capaci di emozionare e far riflettere.

📸 Graziano, con decenni di esperienza nella fotografia professionale — ritratto, reportage, still life, moda — cattura l’anima dei personaggi e dei contesti con immagini evocative, poetiche e potenti. Ogni scatto è il riflesso della passione con cui interpreta il mondo.

✨ Insieme, formano un duo vibrante e complementare, sempre alla ricerca di storie che sappiano dare emozioni.

Graziano Villa e Francesca Fabbri Fellini – ©GrazianoVilla – Timbavati National Park – Southafrica