Incontro con Stefano Salvati

di Francesca Fabbri Fellini 

Nel 1987 firmavo il mio primo contratto con la Rai, entrando come scrittura in video nel mondo della scatola magica. Quello stesso anno, Stefano Salvati realizzava il suo primo videoclip famoso, dando inizio a una carriera che lo avrebbe portato a essere definito il Fellini dei videoclip.

Un titolo che, da nipote di Federico Fellini, mi incuriosisce e mi provoca.

Siamo entrambi nati a Bologna, città che ha visto nascere visioni e immaginari potenti.

E come mio Zio Federico, nato il 20 gennaio, anche Stefano è un Capricorno, nato il giorno dopo, il 21. Coincidenze astrologiche e geografiche che sembrano tessere un destino comune, almeno nell’ambizione di raccontare il mondo attraverso immagini.

Chi è questo regista che ha saputo trasformare la musica in immagine, il ritmo in narrazione?

E davvero aveva proposto un progetto di video clip allo Zio Federico nel 1990?

In questa intervista, cerco di esplorare il mondo dei videoclip, un linguaggio che non mi appartiene ma che voglio conoscere, attraverso le parole di chi lo ha reinventato.

D: Ti hanno definito il ‘Fellini dei videoclip’, cosa significa per te questo paragone? È un omaggio, una responsabilità o una provocazione?

R: Quando, nei primi anni ’90, mi hanno definito il Fellini del videoclipper i lavori che stavo realizzando in quel periodo, è stato per me un onore immenso. Avevo appena trent’anni e sentivo di non meritare un paragone così grande. Essere accostato — allora come oggi — al più grande regista che il nostro pianeta abbia mai avuto mi sembrava qualcosa di incredibile. Era motivo di orgoglio, sì, ma anche di un certo imbarazzo, perché mi sembrava un riconoscimento troppo grande per la mia giovane età.

Stefano Salvati e Vasco Rossi

Come dicevi tu, Francesca, è anche una responsabilità da portare avanti. Ogni volta che realizzavo un videoclip importante, i giornalisti partivano proprio da quell’etichetta: “il Fellini del videoclip”. Tutto è cominciato con un articolo di un giornalista del Carlino di Bologna, poi la definizione è stata ripresa dal Carlino Nazionale. Il contesto era il videoclip di Vasco Rossi, Gli Spari Sopra, uscito nel 1993. Francesca anche se il contesto era molto distante dall’universo felliniano, il videoclip di Gli spari sopra era però profondamente visionario (e forse per questo motivo il giornalista mi comparava a Fellini). L’ambientazione era realistica: Vasco Rossi si trovava rinchiuso in un carcere ispirato ad Alcatraz, completamente solo.

Vasco Rossi sul set del videoclip “Gli Spari Sopra”

A un certo punto, riesce a liberarsi, sale sul tetto e lì inizia a girare un elicottero sopra di lui. Era un video che partiva dal reale, ma che trasmetteva un messaggio potente sul tema del potere e della ribellione. Un’immagine forte, simbolica, che amplificava il significato del brano.

D: Un successo commerciale enorme per Vasco un album che ha venduto 1 milione e mezzo di copie solo in Italia.

R: Si fu un album che andò fortissimo.

D: Qual è il tuo rapporto con il cinema di Fellini? Ti ha influenzato in qualche modo nella tua visione artistica poi di regista?

R: Completamente. Ancora oggi, ogni volta che realizzo un filmato – che sia lungo o breve – sento il bisogno di immergermi totalmente in quel mondo. Ho iniziato a vedere e conoscere Fellini intorno ai cinque anni, quando ero ancora all’asilo. Mio padre, grande appassionato di cinema e in particolare di Fellini, volle che cominciassi a guardare i suoi film. E di questo gli sarò grato per sempre. Da allora, si può dire che Fellini mi abbia marchiato a fuoco.

Federico Fellini – ©Davide-Minghini – Biblioteca-Civica-Gambalunga

D: Lo Zio Federico tu l’hai incontrato per la prima volta nel ‘90 nel suo studio a Cinecittà. Cosa ti aveva colpito in questo vostro primo incontro?

R: Mi aveva colpito subito: oltre a quella vocina tenera, che avesse un’incredibile quantità di peli nelle orecchie. Era quasi imbarazzante, ma al tempo stesso affascinante, sembrava uscito da uno dei suoi stessi film. Un personaggio felliniano, inconsapevole. Anche dal naso spuntavano dei peli, ma nelle orecchie… lì era davvero straordinario. Un uomo-Lupo, nel vero senso della parola.

Stefano Salvati a Los Angeles

Il primo incontro con Fellini è stato… beh, è come se ce l’avessi ancora davanti. Sono quei momenti che non si dimenticano, nemmeno volendo. Ricordo ogni istante, secondo per secondo. Lo aspettavo nel suo ufficio a Cinecittà, e ho ancora impressa nella mente l’immagine di lui che sale le scale del Teatro 5. Al Teatro 5. Sale le scale, arriva, mi guarda e…

Federico Fellini

D: Tu non eri solo.

R: All’epoca mi accompagnava la mia assistente, Cecilia Bellinato, un’organizzatrice molto bella che attirò subito l’attenzione di Fellini. In effetti vide prima lei di me. Quando poi capì chi fossi, gli spiegai che ero lì per proporgli di scrivere la storia di un videoclip che avrei dovuto girare per Zucchero, sulla canzone Miserere con Pavarotti.

Stefano Salvati e Zucchero Sugar Fornaciari sul set del videoclip “Arcord”

Fellini intuì immediatamente che ero completamente soggiogato da lui, sembravo un bambino emozionato, quasi rimbambito. E lui, da vero Maestro, se ne approfittò con eleganza. Il nostro rapporto era quello tra un preside e un allievo delle elementari: lui il genio assoluto, io il piccolo apprendista.

Stefano Salvati e Zucchero Sugar Fornaciari sul set del
videoclip ” Per colpa di chi”

All’inizio sembrava non sapere nulla, e questa sua apparente smemoratezza strideva con l’immagine mitica che avevo di lui. Diceva cose come: “La musica, Stefanino, non ce l’ho neanche in casa. Mi fa piangere, quindi preferisco evitarla. Voglio essere felice.”

E poi raccontava di una signorina che lo aveva cercato, forse legata alla religione: “La Madonna, sì, anche la Madonna mi ha chiamato.”

Sembrava disinteressato, quasi ignaro di tutto. Ma col tempo ho capito che era solo un modo per studiarmi, per capire chi fossi davvero.

D: Cosa distingue un videoclip, Stefano, da un cortometraggio o da uno spot pubblicitario? Esiste una grammatica visiva, specifica?

R: Parlando ancora di Fellini, credo che il videoclip sia profondamente legato alla grammatica visiva che lui ha saputo inventare. Prima di lui, l’astrazione nel cinema esisteva, certo – penso a Buñuel, ad esempio – ma era rara. Fellini invece ha creato un linguaggio unico, partendo da concetti forti e visionari, dove il circo, l’immaginario e il sogno diventano strumenti narrativi.

Federico Fellini e Marcello Mastroianni su 8 e 1/2

Non posso dire di essere nato artisticamente grazie a Fellini, ma il modo in cui concepisco e realizzo i videoclip deriva chiaramente da quella grammatica che lui ha costruito con maestria. Un esempio emblematico è Otto e Mezzo: un film che è, di fatto, una lunga seduta psicoanalitica. Il suo universo visivo, soprattutto nella scena iniziale, trasmette un senso di claustrofobia attraverso immagini e suoni assolutamente innovativi per l’epoca.

Quel tipo di cinema ha aperto la strada a un modo di raccontare per immagini che oggi è alla base del videoclip. Fellini non ha solo influenzato il cinema: ha cambiato il modo di vedere.

Stefano Salvati

Stefano Salvati – ciack del videoclip per Vasco Rossi

D: Come si costruisce la narrazione in pochi minuti, spesso senza dialoghi? È più difficile o più liberatorio?

R: Lavorare nel mondo della musica e, in particolare, del videoclip significa partire dal sogno. Anche quando si racconta una storia, bisogna cercare immagini oniriche, visioni che vadano oltre la realtà. Il videoclip, infatti, non si avvicina tanto al cinema d’autore di Fellini quanto si distanzia dai film muti. Eppure, paradossalmente, per comprenderlo bisogna tornare proprio a quei film: il videoclip condivide con il muto l’assenza di dialogo esplicito, ma ne rifiuta la teatralità esasperata.

Nel videoclip, se si costruisce una narrazione con attori, questi non devono recitare come nei film muti, dove tutto era amplificato e i gesti erano ereditati dal teatro. Al contrario, il linguaggio del videoclip si fonda su una grammatica visiva più sottile, più interiore. Una grammatica che porta con sé l’ombra di Fellini: il sogno, l’autoanalisi, la dimensione psichica e surreale. È un gioco di riflessi e suggestioni, dove l’immagine non illustra, ma evoca. Dove il tempo non scorre, ma si dilata.

Dove il racconto non si impone, ma si svela.

Stefano Salvati e Luciano Ligabue sul set del video musicale “Sogni di Rock’n’Roll” di Luciano Ligabue – Regia Fabrizio Moro prodotto da Raffaella Tommasi e Stefano Salvati

D: Hai lavorato con artisti molto diversi tra loro. Come si adatta la regia al carattere musicale e personale di ciascuno, ogni volta è una sfida?

R: Ti faccio due esempi di artisti completamente diversi tra loro. Da una parte c’è Vasco Rossi, che incarna un rock all’italiana, contaminato dal pop, viscerale e diretto. Dall’altra gli 883, che rappresentano un pop pensato per gli adolescenti, più leggero, quotidiano, quasi da diario scolastico.

Stefano Salvati e Vasco Rossi

Con gli 883 ho costruito un’immagine da zero. Ho realizzato tutti i loro videoclip, e prima di quel lavoro non avevano un’identità visiva definita. Erano presenti solo sulle copertine degli album, e anche lì erano rappresentati con semplici disegni.

Max Pezzali degli 883

Copertina del singolo “Come Mai” degli 883 con Fiorello. Videoclip diretto da Stefano Salvati

Il videoclip è stato il primo vero specchio del loro mondo.

Come hai detto bene tu, Francesca, è sempre una sfida.

Ogni volta bisogna azzerare tutto: dimenticare ciò che si sa, mettere da parte la tecnica, anche se c’è chi si affida solo a quella. Io no. Io preferisco immergermi completamente nel mare infinito dell’artista, cercare di entrare in sintonia con la sua essenza.

Ed è qui che torna il mondo di Fellini. Un mondo fatto di sogni, di visioni, di inconscio. Perché ogni artista ha un universo nascosto, e il mio compito è provare a raccontarlo senza tradirlo.

D: Il tuo primo videoclip famoso risale nel 1987. Che Italia era quella per chi faceva video?

R: Sì. Invece il mio primo video, molto semplice, fu con Gino Paoli nel 1986 per il brano: Cosa farò da grande.

Gino Paoli – Cosa farò da grande – cover

Gino Paoli e Stefano Salvati sul set di “Sapore di Sale” – Regia di Stefano Salvati

Era un’Italia profondamente diversa da quella di oggi. Devo dire che, per un giovane, era tutto molto più semplice. Io avevo 22, forse 23 anni, e riuscire a entrare nel mondo del videoclip, in un giro così grande, sembrava quasi naturale.

Come tanti giovani registi, il mio sogno era il cinema. E paradossalmente, all’epoca, sembrava più accessibile. È strano dirlo oggi, ma tu mi stai facendo rivivere quelle idee, quel fermento. Si riusciva persino a contattare i grandi personaggi.

Non c’erano i cellulari, certo, ma bastava essere un po’ svegli. Cercavi di capire dove abitavano, dove si muovevano. A volte facevi la posta, altre volte frequentavi i luoghi che frequentavano loro. E se riuscivi a incrociarli, e loro intuivano che in te c’era qualcosa, allora si apriva una porta. E da lì, tutto poteva cominciare.

D: Com’è cambiato il mondo dei videoclip dagli anni ’80 ad oggi? Cosa si è perso e cosa si è guadagnato nel 2025?

R: Tra le tante attività che porto avanti, sono ancora oggi il direttore artistico del Festival Mondiale del Videoclip, che si chiama IMAGinACTION e si tiene a Ravenna.

Festival Mondiale del Videoclip IMAGinACTION logo

È diventato un appuntamento importante: siamo arrivati alla nona edizione.

La produzione è curata dalla Produttrice Raffaella Tommasi, in collaborazione con la discografia italiana e la FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana).

Produttrice Raffaella Tommasi

Ci sono dentro tutte le Major discografiche: Sony, Warner, Universal… è un progetto corale.

Questo ruolo mi costringe a tenermi costantemente aggiornato, anche perché lavoro con tanti giovani registi. Con la mia azienda produciamo videoclip per artisti emergenti, soprattutto nel mondo rap e trap. Curare i giovani, formarli, è sempre stato per me fondamentale.

Quello che noto, però, è un cambiamento radicale. Non è colpa dei ragazzi di oggi, o almeno non solo loro. La responsabilità è anche della tecnologia, che ha rivoluzionato tutto in modo travolgente.

IMAGinACTION – Festival Internazionale del Videoclip – 2019

D: I videoclip oggi vivono soprattutto su YouTube e TikTok. Cosa pensi di questa nuova fruizione? È ancora arte?

R: Esatto. Oggi c’è una richiesta enorme Francesca. Chiunque inizi a cantare, che sia rap, trap o pop, realizza subito un videoclip. Anzi, spesso i giovanissimi pensano prima al video e poi scrivono la canzone. È un ribaltamento totale.

Definire se sia ancora arte è complicato. Quando un videoclip viene girato in due ore, magari con il telefonino, con primi piani casuali e senza una vera regia, è difficile parlare di espressione artistica. È più un prodotto industriale, e nemmeno grande industria, è micro-industria, veloce, usa e getta.

Ma non tutto è perduto. Ci sono ancora progetti profondi, visivi, poetici. Bisogna solo saperli cercare. E forse, proteggerli.

D: Il Boom per i video clip in Italia è stato negli anni 90?

R: Si. Negli anni ’80, con Thriller di Michael Jackson, il videoclip esplode a livello mondiale. In Italia arriva più tardi, verso la fine del decennio, e negli anni ’90 vive una vera e propria esplosione creativa. In quel periodo, noi registi italiani venivamo paragonati ai francesi e agli inglesi. Personalmente ho lavorato sette anni negli Stati Uniti, studiando da vicino molti artisti americani.

La grande differenza tra allora e oggi è la tecnologia. Oggi, con uno smartphone e un software gratuito, si può realizzare un videoclip in un giorno. È una possibilità straordinaria, impensabile ai nostri tempi. Ma questa facilità ha un rovescio: spesso si sacrifica il pensiero, il concetto, l’idea profonda che può trasformare un video in un’opera d’arte.

Stefano Salvati con Zucchero sul set del clip “Con le mani” e con Clarence Clemmons (il sassofonista di Bruce Springsteen)

Un tempo, soprattutto lavorando con grandi artisti come Zucchero, Vasco o Venditti, ogni videoclip era una responsabilità enorme. Doveva essere un capolavoro, altrimenti eri fuori dal giro. Oggi la passione esiste, ma è diversa: si punta a fare tanti video, velocemente, e a essere pagati subito. La prima domanda che sento spesso dai giovani è: “Quanto budget abbiamo?”

Stefano Salvati e Vasco Rossi

D: Tu hai diretto anche film e opere teatrali. Cosa ti dà il videoclip che il cinema non ti dà e viceversa?

R: È come nello sport. Prendo l’esempio dell’atletica leggera: realizzare un videoclip è come correre una gara di velocità. Tutto è meraviglioso, ma anche estremamente concentrato.

Sul set di un videoclip si lavora due, tre giorni al massimo, poi c’è il montaggio. Se devi fare qualcosa di davvero straordinario, ti danno una settimana. È tutto rapido, intenso.

Stefano Salvati e Antonello Venditti

Fare un film, invece, è come correre una maratona. C’è una lunga fase di preparazione, a volte anche due o tre mesi di riprese, seguiti da una post-produzione altrettanto impegnativa.

E poi c’è una differenza fondamentale: nei videoclip, quando hai un nome, il tuo unico referente è il cantante o la band. Certo, c’è la casa discografica, ma l’interazione è più diretta, più libera. Nel cinema, invece, sei circondato da una moltitudine di figure: produttori, distributori, finanziatori… A meno che tu non sia stato Fellini, che aveva il privilegio raro di parlare solo con se stesso.

D: C’è un videoclip che consideri il tuo capolavoro? Quello in cui hai sentito di aver detto tutto?

R: Sai, non è facile parlarne, perché, come ti ho già detto, e come hai tirato fuori anche tu, ho realizzato videoclip per artisti molto diversi tra loro. Alcuni erano narrativi, con vere e proprie storie; altri invece erano costruiti solo sul suono, con immagini forti, evocative, che però riuscivano comunque a trasmettere qualcosa.

“Principessa” di Marco Masini – Regia di Stefano Salvti

Se parliamo di videoclip con una storia, ce n’è uno che considero tra i più importanti che abbia mai fatto: Principessa di Marco Masini.

Un altro videoclip fondamentale è stato Gli sparì sopra di Vasco Rossi, considerato da molti una pietra miliare del videoclip italiano. È legato a un aneddoto curioso: all’epoca vivevo negli Stati Uniti, e quel video — pur essendo una produzione italiana — fu mostrato a un discografico americano che rimase talmente colpito da pensare fosse stato girato da Ridley Scott. Quando scoprì che ero un regista italiano, volle conoscermi e da lì nacque una collaborazione che mi portò a realizzare diversi videoclip per artisti americani.

“Gli sparì sopra” di Vasco Rossi – regia di Stefano Salvati

Un terzo progetto a cui tengo molto è Gli Angeli, sempre per Vasco Rossi, realizzato in co-regia con Roman Polanski. Anche lui si considerava un allievo spirituale di Fellini, e nei suoi primi lavori — come il suo film Repulsion — si percepisce chiaramente quell’influenza. Polanski mi prese in simpatia e, dopo aver girato insieme, gli confidai il mio sogno di fare cinema.

Stafano Salvati – Roman Polanski – Vasco Rossi

Fu così che nacque Castelnuovo Film, una casa di produzione nella quale il socio di maggioranza era lo stesso Polanski e io uno dei soci.

L’idea di Polanski era di realizzare il mio primo film.

Stefano Salvati e Roman Polanski – Castelnuovo Film

Quel progetto, purtroppo mai realizzato, aveva una sceneggiatura che includeva riferimenti felliniani e prevedeva come protagonista un giovane Leonardo Di Caprio, poco prima che diventasse famoso con Titanic. Anche se il film non si è concretizzato, quel periodo ha segnato una crescita fondamentale nella mia carriera.

D: Se potessi dirigere un videoclip per un artista del passato, chi sceglieresti e che immagine gli cuciresti addosso?

R: E’ molto interessante questa tua domanda Francesca. Il nostro Festival Mondiale del Videoclip, ImaginAction quest’anno non lo fa, ma fino a due anni fa lo faceva. Con il contributo della Regione Emilia-Romagna e di vari Comuni, realizzavamo due videoclip di canzoni italiane famose del passato che non avevano il videoclip.

Sono tutti sul nostro sito: https://www.imaginactionvideoclipfestival.com/

Abbiamo addirittura girato due videoclip per Lucio Dalla, che non avevano il video: Futura e Com’è profondo il mare.

Notte prima degli esami di Venditti.  Pensa io ho fatto un sacco di video di Antonello Venditti, ma Notte prima degli esami, non aveva il video.

Stefano Salvati e Paolo Conte

Abbiamo fatto Via Con Me con Paolo Conte, che ha partecipato al video.

E in più ho fatto due video per Gino Paoli, con il quale come ti dicevo ho cominciato. Abbiamo fatto Sapore di sale e Una lunga storia d’amore.

Tutti questi video, anche quelli dedicati ad artisti scomparsi, sono diventati ufficiali e riconosciuti. Devi sapere che uno dei miei sogni era fare un videoclip per Fabrizio De André. Lo incontrai una volta, nel ’90 o ’91, durante un backstage, ma non ebbi mai l’occasione di girare un video per lui. Ne ha fatti pochissimi, e solo con Gabriele Salvatores. Poi, circa dieci anni fa, grazie a Dori Ghezzi, ho avuto l’onore di realizzare il videoclip ufficiale de Il Pescatore. È stato un momento emozionante, un sogno che si è finalmente realizzato

Fabrizio De André – “Il Pescatore”


Nel gennaio 2020, il Ministro della Cultura Dario Franceschini ha ufficialmente riconosciuto il videoclip musicale come una forma d’arte. Con un decreto, ha esteso ai videoclip i benefici del tax credit già previsti per altri prodotti audiovisivi come film, videoarte e videogiochi.

Franceschini ha dichiarato:

“I video musicali hanno interpretato e interpretano al meglio l’immaginario popolare, facendo sognare intere generazioni e sono delle opere d’arte”.

Questa decisione è stata una risposta diretta all’appello di numerosi artisti italiani — tra cui Fiorello, Giovanni Allevi, Gianna Nannini e Gino Paoli — che chiedevano di riconoscere il valore creativo e culturale del videoclip.


D: È stato un passo importante per valorizzare il lavoro di registi, musicisti e creativi che operano in questo ambito, è stato anche merito tuo?

R: Sì, se guardo a tutti i videoclip che ho realizzato e alle battaglie che ho portato avanti negli anni, posso dire di essere — in qualche modo — la punta di diamante del videoclip italiano. Non voglio definirmi il “punto di riferimento”, ma grazie al festival internazionale che ho fondato, un po’ lo sono diventato.

E lo dico con grande orgoglio: ho sempre creduto nei giovani e continuo a sostenerli con convinzione. Per me è una missione naturale. Da ragazzo, ho avuto la fortuna di essere aiutato dai grandi, e oggi sento che è mio dovere — anzi, una cosa ovvia — restituire quel supporto alle nuove generazioni.

D: Tra i video clip popolari commerciali quali erano fatti veramente bene?

R: Quelli che faceva Rovazzi, adesso non li fa più. Ve lo ricordate Andiamo a comandare? O l’ultimo del 2017, Volare con Gianni Morandi. Estremamente divertenti e girati veramente bene.  Poi c’è un video clip bellissimo, “Sabato” per Jovanotti.

D: Tre aggettivi per definirti.

R: Pratico, visionario e positivo.

Foto di Gianni Pirotta, Alessia De Montis e Archivio Stefano Salvati

Alla fine, tra un aneddoto e una risata, ho capito che il mondo dei videoclip è molto più vicino al sogno di quanto pensassi. Stefano non è Fellini, certo. Ma ha il suo modo di far danzare le immagini. E in questa chiacchierata al mare, tra coincidenze e visioni, ho capito che lo Zio Federico è stato un precursore visionario del video clip per aver anticipato il suo linguaggio, la sua estetica e il suo impatto emotivo, in altre parole ha insegnato al mondo come si può raccontare l’anima attraverso immagini e suoni. Il suo cinema è stato una scuola di visione, e i videoclip ne sono, in qualche modo, figli spirituali. 

Francesca

Stefano Salvati – BIO

Stefano Salvati, classe 1962, nato a Bologna il 21 gennaio, è il regista che ha trasformato il videoclip in un’arte visiva tutta italiana, tanto da guadagnarsi il soprannome di “Fellini del videoclip” — e non solo per la geografia e l’astrologia. Fondatore della società di produzione Daimon Film, nome che evoca spiriti guida e visioni interiori, Salvati ha diretto oltre 400 videoclip, collaborando con artisti del calibro di Vasco Rossi, Zucchero, Laura Pausini, Eros Ramazzotti, Andrea Bocelli, Gianna Nannini, Max Pezzali e persino Sting e gli Aerosmith, passando con disinvoltura dal rock alla lirica, dal pop alla pubblicità. Il suo stile è riconoscibile: narrativo, onirico, a volte surreale, sempre cucito addosso alla musica come un abito di scena. Ha diretto film come Jolly Blu e Albakiara, scritto libri, messo in scena opere liriche. Ma si sa, i daimon sono creature misteriose, e Stefano Salvati continua a muoversi tra sogno e montaggio, con la videocamera come bacchetta magica e Daimon come laboratorio alchemico dove la musica prende forma.

Francesca Fabbri Fellini & Graziano Villa – BIO

Francesca e Graziano: due “Life Travellers”, due esploratori instancabili in viaggio continuo alla ricerca della Bellezza e della Bontà nel mondo. Raccontano ciò che incontrano — persone, luoghi, natura — con uno sguardo curioso e incantato, guidati dalla meraviglia e da quella parte infantile che custodiscono gelosamente dentro di sé.

🎤 Francesca mette a frutto la sua lunga esperienza da giornalista nei principali network radio-televisivi, trasformandola in una sorta di “bastone da rabdomante” capace di intercettare con sensibilità storie, volti e tematiche che meritano di essere raccontati. Le sue interviste si concretizzano in testi e video straordinari — così dicono di lei — capaci di emozionare e far riflettere.

📸 Graziano, con decenni di esperienza nella fotografia professionale — ritratto, reportage, still life, moda — cattura l’anima dei personaggi e dei contesti con immagini evocative, poetiche e potenti. Ogni scatto è il riflesso della passione con cui interpreta il mondo.

✨ Insieme, formano un duo vibrante e complementare, sempre alla ricerca di storie che sappiano dare emozioni.

Graziano Villa e Francesca Fabbri Fellini – ©GrazianoVilla – Timbavati National Park – Southafrica