Intervista a Gordiano Lupi

di Mario Gerosa

Gordiano Lupi, scrittore, saggista e editore, è un instancabile promotore della cultura. Con un entusiasmo raro e contagioso, con una curiosità mai paga, con il coraggio di tentare sempre nuove sfide, rappresenta un baluardo sicuro per chi vuole approfondire temi di nicchia e cimentarsi con nuove avventure nell’ambito dell’editoria. Lupi, la cui casa editrice, Il Foglio letterario, ha tenuto a battesimo scrittori importanti, quali Sacha Naspini e Lorenza Ghinelli, è autore di romanzi (spesso selezionati per il Premio Strega) e di saggi sul cinema scritti con la passione, oltreché con il piglio da cinefilo. Inoltre ha contribuito a far conoscere in Italia molti scrittori cubani, traducendone i libri. Recentemente ha riproposto in una nuova edizione il volume “Federico Fellini- A Cinema Greatmaster” (Il Foglio letterario Edizioni), pubblicato per la prima volta nel 2009. Un libro che ripercorre tutta la carriera del grande regista di Rimini, raccontato anche attraverso un imponente apparato iconografico.


Quando hai scoperto il cinema di Fellini?

Il primo incontro con il cinema di Fellini è stato indiretto, perché avevo soltanto dieci anni quando vidi con mia nonna (grande fan di Franco & Ciccio) Satiricosissimo di Mariano Laurenti nel cinema di terza visione della mia città. Per vedere il Satiricon, invece, ho atteso la maggiore età. Il primo film di Fellini che ho visto è stato La strada, ai tempi del liceo. Mi emozionò moltissimo.

Quali sono i film di Fellini che ami di più?

Amarcord è il mio preferito, per la poesia di cui è intriso, per la nostalgia di un passato che non ritorna, per la frase di Tonino Guerra sulle mani sporche che ricordano l’infanzia, insomma per molte cose che ritornano come un mantra anche nelle piccole prose che scrivo, da modesto cantore della mia provincia. Otto e mezzo è un altro film che amo, per i momenti onirici, per la poetica del ricordo di un tempo inafferrabile, che è stato magico e intenso ma resta tempo perduto. Pupi Avati mi ha confidato che dopo la visione di Otto e mezzo ha deciso di fare il regista. Non è poco.

Che cosa ti affascina del cinema di Fellini?

La poesia senza tempo delle immagini, le suggestioni oniriche, il fatto che da ogni fotogramma viene fuori un pensiero profondo, un’idea perduta … e poi è un cinema che non invecchia, che non è legato a una moda o a un pensiero politico, di per sé mutevole.

C’è una scena di un film di Fellini che ti è rimasta particolarmente impressa?

Una frase pronunciata dall’intellettuale del gruppo ne I vitelloni: “L’inverno è terribile. Non passa mai. E una mattina ti svegli. Eri ragazzo fino a ieri e non lo sei più …”. Per me che vivo in provincia è una terribile verità. Sempre ne I vitelloni è straordinaria la parte in cui un ragazzino chiede al protagonista. “Perché te ne vai? Non stavi bene qua?”. E il finale, con il treno che parte …

I film di Fellini che ti piacevano di più a vent’anni sono gli stessi che preferisci oggi?

A vent’anni si è stupidi davvero/quante balle si ha in testa a quell’età, canta Guccini. Come si può capire Otto e mezzo a vent’anni? E la poesia di Amarcord? E la voglia di fuga del protagonista de I vitelloni? Oppure allora si era solo noi … fatto sta che a vent’anni mi dedicavo a un altro tipo di cinema (commedia, horror, poliziesco) rispetto a Fellini, che ho cominciato ad apprezzare soltanto con la maturità.

Su Fellini sono stati scritti moltissimi libri. Che cosa distingue il tuo libro sul Maestro?

Il mio libro è semplice, scritto con passione, è per tutti. Non ha la pretesa di essere un libro definitivo, ma si rivolge soprattutto a chi non conosce Fellini. Inoltre è bilingue (italiano e inglese), contiene un apparato fotografico originale, oserei dire unico, di immagini prese dai vari set di Fellini.

Nel libro ci sono anche interviste a personaggi che hanno lavorato con Fellini?

No, è un libro di critica cinematografica, di commento alle opere; inoltre dedica una parte molto narrativa al Fellini privato. La prima edizione uscì dieci anni fa per Mediane di Milano. Era un libro su commissione, non per questo meno sentito. Adesso Il Foglio Letterario ha curato una ristampa anastatica, identica all’originale.

Nel cinema di oggi Fellini continua ad essere una fonte di ispirazione? Quali sono secondo te i registi “felliniani”?

Fellini è sempre stato un modello per Pupi Avati, che ha realizzato un cinema minimalista sulle orme di Otto e mezzo e di Amarcord. I film di Sorrentino sono più onirici e surreali, ma molti tocchi artistici inseriti nelle pellicole provengono dalla visione del cinema del Maestro.

Oltre ad essere saggista, tu sei anche un apprezzato scrittore, con romanzi selezionati per il Premio Strega. C’è qualcosa di Fellini nella tua narrativa?

Tutto quello che è grande, che fa parte delle tue visioni e letture, finisce per andare a comporre le storie che scrivi. Calcio e acciaio è ispirato soprattutto al Bergman de Il posto delle fragole, ma il ritorno a casa e la visione dell’infanzia del protagonista contengono riferimenti ad Amarcord. Sogni e altiforni è ancora più onirico e introspettivo, un vero e proprio contenitore di tempo perduto. Diciamo che tutto comincia da Proust ma si arriva ad Avati, passando per Fellini.

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Mario Gerosa

Giornalista professionista, autore di saggi sulla storia del cinema e della televisione, si è laureato in architettura al Politecnico di Milano con una tesi sui luoghi immaginari di Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust.

Vincitore del Premio Pasinetti-Cinema Nuovo nel 1987, con un saggio sugli attori di Luchino Visconti, ha tenuto corsi di Multimedia e Comunicazione al Politecnico di Milano, e ha curato mostre al Mysfest di Cattolica e al Museo di Storia Naturale di Firenze.

Per più di vent’anni ha lavorato in Condé Nast, dove è stato caporedattore di Traveller e dove, per più di quindici anni, ha ricoperto la carica di caporedattore di AD. Attualmente collabora con Artribune e Wired ed è titolare del blog “Virtual Vernissage”, dedicato alle gallerie e ai musei virtuali.

Alla passione per l’architettura, il design e il cinema affianca quella per le culture digitali e per i mondi virtuali. Autore del primo libro uscito in Italia sul fenomeno di Second Life, ha fondato l’agenzia di viaggi virtuali Synthravels, di cui si è occupata la stampa internazionale, è stato invitato a parlare di cinema e mondi virtuali alla Society for Cinema and Media Studies di Los Angeles e ha collaborato alla sceneggiatura del film Volavola di Berardo Carboni.

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Tra i suoi libri, Mondi virtuali (Castelvecchi, 2006), Second Life (Meltemi, 2007), Rinascimento virtuale (Meltemi,2008), Il cinema di Terence Young (Il Foglio letterario, 2009), Robert Fuest e l’abominevole Dottor Phibes (Falsopiano, 2011), James Bond spiegato ai cinefili (Il Foglio Letterario, 2016), Anton Giulio Majano, il regista dei due mondi (Falsopiano, 2016), Daniele D’Anza, un rivoluzionario della tv (con Biagio Proietti, Il Foglio letterario, 2017), e Biagio Proietti, un visionario felice (Il Foglio letterario, 2018).

Ha scritto anche due romanzi, Il collezionista di respiri (Falsopiano, 2019), un art thriller ambientato nel mondo dell’arte contemporanea, finalista al Premio Internazionale di Letteratura Città di Como e a Garfagnana in Giallo, e Caleidoscopio (Falsopiano 2020), un’amara riflessione sul tema della vecchiaia travestita da thriller.

Recentemente ha lanciato il blog Virtual Vernissage, dedicato ai musei e alle gallerie d’arte virtuali, con interviste e approfondimenti su un tema di grande attualità che unisce arte, cultura e nuove tecnologie.