GET BACK – I Beatles Ritrovati

di Marco Molendini

Per due giorni sono stato accanto a Paul, John, George e Ringo. E, quando l’infinito documentario Get back è terminato, nonostante l’abbuffata ho provato un senso di vuoto. Get back non è solo un film, non è solo un emozionante giacimento scoperto dopo 52 anni, è un delirio, una passeggiata nel tempo, è un ritrovare il tempo perduto, è entrare dentro la vita del più celebrato gruppo musicale, vederne come in una lampada magica i meccanismi.

È nostalgia di immagini inaspettatamente resuscitate (McCartney si era sempre opposto all’utilizzo perché riteneva che ne venisse fuori un ritratto cupo della band), è nostalgia di quella musica, di quelle chiacchiere, di quei visi di ragazzi ancora giovanissimi (Lennon e Ringo hanno 28 anni, McCartney 26 e Harrison 25): hanno già avuto tutto dalla vita e non sanno cosa vogliono ancora. Sono alle prese con se stessi senza averne più voglia. Li vedi persi, divisi fra un rapporto profondo, l’intesa antica, il successo smisurato che li ha travolti, le troppe emozioni vissute, le lusinghe, le aspirazioni, il narcisismo inevitabile. Sono arrivati al capolinea, lo sanno, ne parlano, si vede durante le riprese di quello che doveva essere una sorta di film verità sulla costruzione di un disco, Get back, e di un concerto: George prova a mollare all’improvviso la ditta, vuole fare un album suo, non sopporta che Paul gli dica come deve suonare ma poi, dopo un paio di giorni, torna all’ovile. John ha la testa da un’altra parte, è preso da Yoko che non lo molla un istante e da chissà che cosa sta ingurgitando. Ringo è un’appendice, non parla quasi mai, quasi mai viene consultato. Paul è il più vispo, è evidente che crede ancora nei Beatles ormai una band tagliata a sua misura, è lui che tiene in vita la baracca, propone, progetta, discute, suggerisce, invita, a volte ordina, è il più lucido, determinato, preoccupato.

Fra di loro non c’è astio, non c’è nessuna recriminazione, c’è qualche punzecchiatura, molto british, perfino la implacabile e ossessiva presenza di Yoko è accettata come inevitabile. Paul e John si guardano costantemente negli occhi quando suonano, a un certo punto si mettono perfino a ballare insieme, c’è un legame intimo fra loro, un rapporto profondamente sentimentale.

La musica unisce ancora i Beatles, li unisce nelle pause, quando si divertono a suonare o a citare vecchie hit di Chuck Berry, Carl Perkins, Fats Domino, Eddie Cochran, sono capaci anche di trasformare in canzone un articolo del Daily Mail, abbozzano nuovi pezzi: ecco Paul che al basso estrae dal cappello il primo accenno di Get back, George che fa ascoltare una nascente Something (che capolavoro) e chiede aiuto a John perché non sa come andare avanti, discutono sul senso delle canzoni, ripetono all’infinito Don’t let me down, Get back e Long and winding road, si animano quando si aggiunge l’energia di Billy Preston che cambia l’atmosfera delle session, coi visi che tornano a sorridere e, perfino John, che si risveglia e smette per un momento di sbaciucchiare la sua Yoko. Sul tetto della Apple Corps si divertono, nonostante il freddo, i bobby che vogliono farli smettere, e le signore londinesi che in strada si scandalizzano per il baccano. La band c’è ancora e suona come non ha mai suonato. C’è ma sta per non esserci più. Le otto ore raccolte nelle tre puntate in onda sulla piattaforma Disney (frutto di una sintesi del regista Peter Jackson su 60 ore di registrazioni) raccontano l’impossibilità di stare assieme e perché, la separazione avrebbe dato vita al loro mito, indelebile.

THE BEATLES – GET BACK

Il video della performance originale dei Beatles con i commenti del pubblico

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THE BEATLES – GET BACK

L’intervista di Peter Jackson che introduce al suo docu-film

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Marco Molendini – BIO

Giornalista e critico musicale di lunga esperienza, è una delle firme di punta de “Il Messaggero”, di cui è stato redattore capo del servizio spettacoli dal 1981 al 1995. Nato a Bologna e residente a Roma è stato conduttore su Radio Rai di programmi dedicati al jazz, dal 1982 al 1992, collaboratore per programmi sul jazz di Raisat prima e poi di Rai 5, è anche autore di libri: una biografia di Frank Sinatra, una di Caetano Veloso, un doppio racconto sul rapporto fra Veloso e Gilberto Gil dal titolo “Fratelli Brasile” e del libro fotografico “Le strade del cinema portano a Roma”. È stato autore televisivo del programma di Raiuno “Speciale per me” di Renzo Arbore. Insegna al Master di critica giornalistica dell’Accademia d’arte Silvio D’Amico.

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