di Alessandra Valli

Un’arte potente, nel suo insieme di discipline e ritualità, che ci accompagna e si evolve da 2500 anni: questo è il teatro, nelle lontane origini un modo di dare corpo e voce al sacro, e allo stesso tempo, educare, e definire i rapporti sociali attraverso la finzione. Mai come in questi tempi oscuri se ne sente la mancanza, mai come in questo periodo sospeso, fatto di vuoti, distanza, relazioni rarefatte, andrebbe riscoperto.

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La magia della sala buia, la vicinanza degli altri, il silenzio dell’attesa, il sipario che scorre, il sogno che si accende. Si attende con ansia, ogni volta, il sortilegio che si crea fra palcoscenico e platea: un momento unico e irripetibile. Il teatro è infatti la sola forma artistica che si concretizza solo nel tempo limitato della rappresentazione, nella portentosa scintilla che scocca fra attori e pubblico, un’interazione diversa ogni sera, mai riproducibile, perlomeno non con le stesse, identiche caratteristiche. Mai come in questo momento storico, in cui le sale sono inesorabilmente chiuse, sarebbe d‘aiuto frequentarle. Ma il teatro ha un’altra peculiarità: si può realizzare ovunque. Come sostiene infatti il regista Peter Brook, è sufficiente uno spazio vuoto, qualsiasi, e si può decidere che sia un palcoscenico. Bastano un attore e uno spettatore. E il miracolo è servito. E infatti, sono da segnalare, in tempo di lockdown, le interessanti iniziative nate per portare il teatro a domicilio, nei cortili dei condomini e nelle case.

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E ancora. Il teatro è scuola di vita. L’etimologia stessa della parola lo dice, deriva dal verbo greco Thèomai, osservo, e proprio per questo è un’arma strepitosa per guardare anche dentro sé stessi. Un culto dello spirito e degli spiriti. Sia che ci si avvicini al teatro come spettatori, sia, a maggior ragione, che si scelga di affrontarlo da protagonisti. Sarebbe importante, bellissimo, infatti che il maggior numero possibile di persone, frequentassero, almeno una volta, una scuola di recitazione, un laboratorio teatrale, indipendentemente dalle scelte attuate per la propria vita lavorativa. Un’occasione per mettersi in discussione, toccando corde nascoste della personalità che magari non si sospetta di avere, facendo fluire emozioni, sentimenti, fantasie, desideri, alimentando un’energia forte e liberatoria. Una sorta di seduta psicanalitica di gruppo, capace di scatenare vere esplosioni creative. Fare teatro significa fatica, sofferenza, sudore, ma anche passione infinita, gioia pura e catarsi.

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E’ quello che tutti dovrebbero sperimentare, in una società sempre più fredda, automatizzata e chiusa in sé stessa: riuscendo così ad apprendere e padroneggiare gli strumenti indispensabili per cogliere pienamente le sfumature e gli stimoli racchiusi in uno spettacolo; e ancora, ad assaporare il piacere sottile del suono delle parole, la musicalità dei testi, il fascino della gestualità, la suggestione della scenografia. Ma anche, un’occasione per leggere nelle pieghe della propria anima.

Certo, in questo momento, con gli edifici chiusi, le opere in streaming e le iniziative interattive intraprese da teatri e scuole di recitazione offrono un valido sostituto alla mancanza di eventi e incontri live. Allo stesso modo, spettacoli presentati in seguito alle restrizioni in atto ormai da mesi, realizzati in assenza di pubblico, magari lavorando in modo inedito sull’uso dello spazio, hanno permesso persino di delineare nuovi linguaggi estetici e drammaturgici. Esperimenti di certo peculiari, capaci di indicare percorsi alternativi per il futuro, ma diversi dall’esperienza culturale, irrinunciabile, che possiamo vivere nelle sale, dal vivo. Per questo è auspicabile che l’attività artistica riprenda al più presto possibile, in presenza delle persone. Per questo il teatro va sostenuto, seguito, amato. Perché il teatro è la vita, il teatro siamo noi.

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Alessandra Valli

Nasco a Milano, frequento studi classici. Mi laureo in lettere moderne, seguo corsi di disegno e decorazione. Vivo per alcuni anni

tra Parigi e Milano, muovo i primi passi nel mondo editoriale, lavorando nelle redazioni di Harper’s Bazaar, Francia e Italia, negli anni splendenti della moda; e poi, per 30 anni, in quella di AD (Architectural Digest) Italia. Come giornalista, mi specializzo infatti nel campo del design e dell’arredamento: una passione mai spenta. E ancora, seguo corsi di recitazione, dizione, storia del teatro. Viaggio, leggo . E sogno ad occhi aperti.