Viaggiatori dell’immaginario

di Roberto Lasagna

Il giorno 11 giugno del 1982 esce nelle sale americane E. T. l’extra-terrestre”, il film in cui Steven Spielbergriflette sul tema dell’amicizia tra un bambino e un extraterrestre, dove l’amicizia è un sentimento assoluto, di osmosi e piena corrispondenza dei sensi al di là dei linguaggi, secondo una suggestione che abbiamo già incontrato in Incontri ravvicinati del terzo tipo”. L’avvio da brivido come di consueto introduce in Spielberg all’atmosfera coinvolgente e drammatica del racconto, allorquando, in una foresta californiana, giunge una grande astronave dalla quale scendono alcuni alieni durante una missione a scopo botanico, che hanno tutto l’aspetto di visitatori malcapitati e innocui. Il film, che commuove milioni di spettatori, si porta nel terreno delle avventure del piccolo alieno lasciato per caso sul pianeta dai suoi compagni, che presto si rivelerà capace di poteri e sensibilità pronti a elevarlo a presenza fraterna per i piccoli personaggi, i ragazzini protagonisti di uno dei film più emotivamente toccanti del regista americano.

E.T. è il trionfo della Hollywood neo-classica e il punto di avvio di una nuova fase nella produzione spielberghiana, dove i toni intimi e personali sono il terreno pregnante di vicende incentrate sulle disavventure dei protagonisti, disposti ad attraversare la Storia in vicissitudini che si alternano alle avventure di personaggi ormai cinematograficamente celebri (Indiana Jones), o della narrativa popolare (Peter Pan), e trovano cittadinanza in titoli come Il Colore viola”, “L’impero del sole”, “Amistad” oSchindler’s list”.

Spielberg nella sua ispirazione porta il cinema che ama e i romanzi avventurosi, e non dimentica la lezione di Federico Fellini per un cinema visionario, capace di far vibrare di fascino e densità espressiva la quotidianità, rendendola una composizione dal segno grafico prezioso. Il sogno e l’immaginario si incontrano con l’aspetto più minuto dell’esistenza, e portano il cineasta americano a quella corsa verso l’ignoto che ha le sue premesse in un film come “Duel”, non a caso molto amato da Fellini, il quale, quando Spielberg si trovava a Roma nel 1971 per promuovere il suo lavoro, incontrò il venticinquenne movie-maker di Cincinnati e trascorse con lui una giornata insieme. Nel ricordo del regista americano, che nel 2018 riceve a Roma il David di Donatelloalla carriera, “Tornare a Roma” significa rievocare “una delle più straordinarie giornate della mia vita”. Il regista si trovava nella città eterna per la prima volta nella sua vita, e stava promuovendo un film realizzato per la tv americana, Duel”. Non aveva mai lasciato gli Stati Uniti in quel periodo e l’Italia fu il primo paese che visitò. Spielberg alloggiava all’hotel Hassler e al suo arrivo sprofondò nel sonno per il fuso orario ma fu svegliato da una telefonata improvvisa della receptionist che annunciava un visitatore importante.

Ad attenderlo nell’hotel c’era Federico Fellini, che aveva visto la sera prima una proiezione di Duel” e adesso veniva a cercarlo per fargli i complimenti di persona. “Ero veramente nella hall dell’hotel e davanti a me in piedi c’era davvero uno dei più grandi registi della storia del cinema. Allora Fellini prese me, un regista americano totalmente sconosciuto, e mi portò a fare una passeggiata per Roma. Ho visto Roma attraverso gli occhi di Fellini, non me lo dimenticherò mai”. Di quell’incontro, Spielberg conserva i consigli del cineasta italiano, a cominciare dal suggerimento di non dare mai la stessa risposta alla stessa domanda, e di come sia importante intrattenere il pubblico, ma come sia ancora più importante intrattenere sé stessi. Un consiglio, quest’ultimo, che sembra schiudere una dichiarazione d’intenti pronta a sintonizzarsi con i motivi di una poetica, peraltro fortemente condiviso dai due autori e rispecchiato dai rispettivi modi di fare cinema. L’immaginazione al potere disegna nelle opere dei due cineasti un viaggio in cui il cineasta è colui che porta al cinema i propri sogni anche di spettatore, e nella lezione di Fellini si intravede quella rivoluzione cinematografica che pone il cineasta italiano come il grande innovatore in grado di sprigionare la poesia nell’intimità di un dialogo universale con il pensiero del personaggio, che viene offerto allo spettatore con le caratteristiche di un’esperienza illusionistica ma profondamente vera, radicalmente avvolgente nelle sue note oniriche e metaforiche. Fellini era il principale spettatore dei suoi viaggi cinematografici e nel racconto di Spielberg si riflette l’idea “che per conquistare il pubblico bisogna prima di tutto essere il pubblico”. Un consiglio che Spielberg conserva sin da quell’incontro romano. “E molti dei miei film hanno preso questo consiglio alla lettera. Per ricordarmi di questo episodio ho ancora questa fotografia con il Maestro scattata quel giorno a Roma appesa alla parete del mio ufficio. È nel mio ufficio da 45 anni”. Una fotografia che sigilla un ricordo, per un cineasta che dopo undici anni, con E.T.”,avrebbe liberato echi di una fantasia di fanciullo per raccontare il sogno, con Fellini e Capra nel cuore, e andando incontro a un cinema che nel corso degli anni avrebbe vissuto molti successi ma soprattutto molte metamorfosi adatte a sorprendere soprattutto l’autore, il primo spettatore dei suoi film. Nel giugno del 1982, quando esce nelle sale americane “E.T.”, esce a breve distanza anche Poltergeist-demoniache presenze”, il film horror diretto da Tobe Hopper e prodotto da Spielberg, il quale contribuisce alla realizzazione rimanendo a lungo sul set con spunti e idee, nonché co-firmando la sceneggiatura. La doppia anima del cineasta fantasioso e adulto, è una caratteristica che Spielberg non perderà mai, così come la lezione felliniana di un racconto che insegua la meraviglia potenziando la quotidianità di bagliori in grado di accompagnare le ombre dell’immaginario.

E.-T.-l’Extra-Terrestre e Carlo-Rambaldi

E se Fellini rimane un cineasta unico e imitatissimo, gli anni Ottanta di Spielberg sono quelli degli effetti speciali di Carlo Rambaldi al servizio di un immaginario fantascientifico che vive trasformazioni sensibili tanto nel modo di raccontare, quanto nei contenuti. Dopo gli anni Settanta della fantascienza politica, della riaffermazione di un sistema produttivo cinematografico di massa, delle innovazioni tecnologiche, dalle metamorfosi esibite in film come La cosa” (1982) di John Carpenter, si percepisce tutta l’elaborazione tecnica ed espressiva dei film di Spielberg e Lucas, così che le inquietudini intestine e le suggestioni spettacolari obbediscono tante volte alle nuove possibilità della tecnologia pronta ad affinare nei casi migliori anche il linguaggio, mentre si affermano la pratica del sequel (che affonda le sue radici nelle origini del grande schermo, e negli anni Ottanta viene letteralmente ingurgitato dal predominio televisivo) e quella del remake, il vero banco di prova della continuità col passato. Ne origina una miriade di film doppi imbevuti del culto nostalgico per un cinema che è stato grande e che, un po’ semplicisticamente, le nuove tecnologie permettono di vedere riproposto in salsa simil-fumettistica per le attuali generazioni. Spielberg, da produttore fortunato, si ritaglierà il ruolo di cineasta in grado di raccontare lo spaventoso e la meraviglia, maturando un rapporto con la Storia che la sua lunga filmografia lascerà emergere in titoli come Schindler’s List” o Munich”, ma anche nella ricerca di verità per Lincoln” o The Post”. E per quest’ultimo film, in cui il regista sembra voler rievocare la grande stagione del cinema d’impegno civile, il ricordo corre alla presentazione italiana a Milano, quando, avvicinato dalla giornalista che lo chiama “Maestro”, non dimentica con un sorriso di restituire questo appellativo al regista che in America e nel mondo continua ad essere chiamato così, e che nel 1971 lo accompagnò come un padre-fratello a visitare Roma in un “incontro ravvicinato” da brivido.

Steven Spielberg. Tutto il grande cinema” è il nuovo libro di Roberto Lasagna, saggista e critico cinematografico, autore di monografie e libri dedicati a grandi registi come Kubrick, Scorsese, Cimino.

Il libro, che esce per i quarant’anni di E.T., è il libro più completo sul grande regista americano, da oggi disponibile sulle librerie online e sul negozio online dell’editore Weirdbook (www.weirdbook.it).

Roberto Lasagna – BIO

Roberto Lasagna è un saggista e critico cinematografico italiano, autore di monografie tradotte anche in altri paesi. Ha scritto e curato oltre venti libri e contribuito allo studio dell’opera di Stanley Kubrick con tre saggi: ‘I film di Stanley Kubrick’ (1997); ‘Il mondo di Kubrick. Cinema, estetica, filosofia’ (2015); ‘2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick (2018).

Laureato in psicologia, in filosofia e in economia, ha scritto una storia del cinema della Disney (due edizioni, nel 2001 e nel 2011) e un saggio sui rapporti tra cinema e psicologia del lavoro (“Da Chaplin a Loach”), oltre a libri su Nanni Moretti, Robin Williams, Yorgos Lanthimos, Martin Scorsese, Lars Von Trier, Steven Spielberg, Wim Wenders, Vincent Price, Russ Meyer, Al Pacino, Richard Lester, Quentin Tarantino, Dario Argento.

Dopo avere fondato, con Davide D’Alto e Saverio Zumbo, le Edizioni Falsopiano nel 1996, dal 1998 ha iniziato una lunga collaborazione con la rivista di cinema Duel, poi Duellanti, continuando a dedicarsi alla saggistica e alla divulgazione culturale.

Nel 2019, nel 2020 e nel 2021 ha condiviso con Giorgio Simonelli la direzione artistica del Festival Adelio Ferrero – Cinema e Critica.

Roberto Lasagna è tra i principali promotori del Premio Adelio Ferrero, dedicato alla critica cinematografica, istituito nel 1978 da Lorenzo Pellizzari per ricordare la figura e l’opera del critico e studioso Adelio Ferrero.