Chiara Parisi è la direttrice del Pompidou Metz.

La Parisi si è diplomata in storia dell’Arte all’Università La Sapienza di Roma e vanta una quindicinale esperienza in Francia. Dal 2000 è diventata curatrice presso l’Accademia di Francia, con il ciclo di mostre La Folie de la Villa Médicis, mentre dal 2004 al 2011 è stata al timone del Centre international d’art et du paysage de l’île de Vassivière in Francia. Dal 2011 al 2016 ha diretto la programmazione culturale de La Monnaie, la Zecca di Parigi. Le Monde si dice sicuro che “la più italiana delle città dell’est le riserverà una calorosa accoglienza”.

Centre Pompidou-Metz-©Jacqueline Trichard

Centre Pompidou-Metz-©Jacqueline Trichard

D:Chiara lei è stata nominata direttrice del Centre Pompidou-Metz a fine 2019.C’erano candidati da tutte le parti del mondo. Lei su 6 candidati finalisti è stata scelta all’unanimità. Se lo aspettava? Come ha appreso la notizia?

R:Ho un ricordo forte della discussione con la giuria e entusiasmante del momento in cui il Serge Lasvignes, il presidente del Centre Pompidou, mi ha chiamata.

D:La sede del Centre Pompidou a Metz è il primo esempio di sede distaccata di una grande istituzione culturale francese. Quali sono le sfide che l’aspettano?

R:Quelle eccitanti di animare un museo ultra-contemporaneo in una città, Metz, geograficamente interessante, che si trova nel cuore dell’Europa, a un’ora da Parigi, considerata una capitale dell’arte gotica con la sua celebre Cattedrale e che grazie alla presenza del Centre Pompidou ha potuto mettere il valore la contemporaneità con un’ambizione internazionale. La sfida è di non rimanere legati a una sola realtà, ma di essere in contatto con differenti livelli di realtà.

D:A fine maggio la mostra dedicata al pittore che le fece nascere l’amore per l’arte: Arcimboldo?

R:Arcimboldo è un viaggio straordinario nella storia dell’arte, che dimostra la sua influenza sulla modernità e la contemporaneità. Basti pensare all’impatto che Arcimboldo ha avuto sui surrealisti. La mostra sarà un’avventura eccezionale da vivere all’interno di una scenografia concepita come una cittadella dell’arte dove, passeggiando, si potranno ammirare capolavori del Louvre, degli Uffizi, e opere decisamente più contemporanee.

È un sogno che si realizza.

D:Giuseppe Arcimboldo, straordinario visionario, può spiegarci perché dipingeva quei volti? Dalla superficie dell’inganno ottico all’essenza: cosa la stregò nel suo primo incontro nel 1987 a Venezia di questo artista che continua a piacere anche se non si è esperti d’arte?

R:Il suo spirito, il suo modo di essere artista, di essere al mondo. La sua capacità di costruire un linguaggio metaforico organizzato e poetico al contempo. La sua lentezza, immagino che dipingesse con dei pennelli strani e raffinati. Mente intellettuale ma radicata nella vita. Internazionale e ultra-umano.La mostra a Venezia nel 1987 è stata la mia prima. Fu una rivelazione che amo pensare come decisiva.

D:Il suo Arcimboldo preferito?

R:L’Acqua, al Kunsthistorisches di Vienna, per il quale ho una grande fascinazione. È un’opera infinita. E Il Bibliotecario per la sua contemporaneità.

D:Cosa significa per lei poter programmare più mostre contemporaneamente avendo il privilegio di accedere alle collezioni del Centre Pompidou a Parigi e di avere la priorità sui prestiti?

R:È un’opportunità fantastica, ma non basta potere attingere all’incredibile collezione del Centre Pompidou per fare una buona mostra, occorre tenere conto della sua straordinaria storia recente, delle mostre presentate, delle opere già conosciute dal pubblico, dell’attualità nel mondo. Ritornando all’idea del vocabolario di Arcimboldo, per fare una buona mostra basata sulla collezione, occorre innanzitutto sapere che cosa si vuole dire, che messaggio si vuole proporre. È come avere un alfabeto che è composto di 20 0000 lettere… puoi scegliere di scrivere una storia dell’arte cronologica, tematica, narrativa, con un’attitudine critica, con la volontà di decostruirla…

D:Romana, storica dell’arte, da dove nascono le sue collaborazioni con la Francia: da Villa Medici alla Monnaie de Paris al Centre Pompidou?

R:Da Roma infatti, e più precisamente da Villa Medici.

D:Che tipo di dialogo ha con gli artisti?

R:Dialogare con gli artisti è la cosa più irresistibile del mio lavoro. Anche con gli artisti che non sono più in vita.

D:Cos’è per lei il mondo dell’arte?

R:La mia vita quotidiana, il mondo nel quale ho sempre voluto vivere.

D:Come dialoga con i giovani artisti? Che consiglio si sente di dare dall’alto della sua esperienza ai giovani che muovono i primi passo nel mondo dell’arte?

R:Ci sarebbero alcune cose che si potrebbero dire, ma mi rendo conto che la nuova generazione è molto indipendente. Sono io che devo ascoltare i loro consigli.

D:Chiara e la Francia. Dove comincia questa lunga storia d’amore?

R:Dal mio cognome? È cosi che mi piace pensare.

D:Qual è stato per il suo museo in epoca di lock down il ruolo del digitale? Da chi è stata aiutata.

R:Abbiamo proposto delle master class: di danza e più precisamente esercizi alla barra con l’Etoile dell’Opera di Parigi e Roma, Benjamin Pech, di arti marziali e più precisamente di Shaolin kung-fu con il tempio di Fawang, di scrittura creativa… Poi dei studio visit, visite delle mostre chiuse, ricordi di esperienze passate… Il digitale ha dimostrato bene la nostalgia che abbiamo del pubblico e viceversa.

L’aiuto? Chi ci sostiene economicamente e l’equipe.

D:Può raccontarci il progetto degli atelier negli ospedali?

R:Abbiamo un polo di mediazione militante e idealista.

Con il museo chiuso ci siamo spostati in quei dipartimenti dell’ospedale di Metz dove potevamo entrare.

D:Cosa ha imparato Chiara da questa pandemia, anche a livello personale?

Non è ancora finita.

R:Inviti i nostri lettori a venire a visitare il Centre Pompidou-Metz, gli dia una motivazione per organizzare un viaggio.

R:È una città totalmente affascinante, molto italiana, romana e rinascimentale nelle fondamenta, che si basa su degli estremi: la Cattedrale e il quartiere gotico, quello Imperiale germanico e l’architettura ultra-contemporanea di Shigeru Ban che è come una nuvola bianca, dentro e fuori.

Il museo è composto da tre o quattro mostre simultanee… in questo momento, più precisamente quando apriremo, abbiamo una mostra dedicata a Chagall e alla sua opera sulle vetrate, un viaggio alla scoperta dell’Architettura gonfiabile, su Yves Klein, e sulla collezione del Centre Pompidou dedicata alla scultura.

Il Centro Pompidou-Metz è un po’ come una navicella spaziale che viene da lontano, posatasi in terra per offrire un viaggio nel passato, presente e futuro.

D:Il Museo Italia. Siamo primi al mondo per patrimonio artistico ma secondo lei Chiara cosa dovremmo imparare dai Francesi per valorizzarlo?

R:Lo stato francese, a partire dagli anni Settanta con Georges Pompidou e poi negli anni Ottanta, con il ministro della cultura Jack Lang, ha avuto la voglia e la perseveranza di valorizzare il patrimonio artistico promuovendo al contempo la creazione contemporanea. L’Italia ha una grande tradizione di arte e contemporanea portata da anni, da secoli, da grandi collezionisti privati, e da 20 anni la politica dello stato mi sembra sia sempre più rivolta anche all’arte contemporanea e agli artisti.

A me manca terribilmente poter andare a prendere un aperitivo in una piccola piazza meravigliosa, fermarmi, poco prima, a vedere un capolavoro in una chiesa, e scoprire un monumento che non avevo mai visto prima… questa è l’Italia e ovunque.

D:‘L’opera d’arte è l’esagerazione di un’idea’. (André Gide).

Per lei cos’è un’opera d’arte ?

R:Roma