Raccontare l’arte è raccontare la persona che l’ha prodotta, le sue idee, i luoghi,
i compagni di viaggio; è seguire i fili dell’orditura, svelare cosa si nasconde
tra le trame del tessuto, dare voce alla cultura, che da corpo alle forme e fiato ai suoni e alle rappresentazione di cui gli esseri umani si circondano per raffigurare se stessi e il loro mondo. Attraverso le immagini e le fotografie di Elia Festa faremo un viaggio attorno agli ultimi quarant’anni di storia recente, intercorsa dal boom economico ai giorni nostri.

Elia Festa – Alfabeto del mio Autoritratto

Un avventura che ci porterà alla scoperta di come eravamo e di come siamo oggi, allo scadere di un epoca industriale che ci ha traghettato da una visione materiale e consumistica ad un’altra virtuale ed eterea, in cui i confini dell’identità collettiva dei popoli sono sempre meno evidenti.

“Milano” – ©Elia Festa

Milano è il crogiuolo in cui avvengono i fatti della narrazione e dall’azione artistica, utilizzato per la fusione di tutti gli elementi che insieme formano e danno vita alla storia della città. Una storia che è anche a quella del Paese Italia e della sua internazionalizzazione, consolidata dalle produzioni industriali, dal design, dalla moda, attorno alle quali si sono si sviluppate le attività artistiche complementari alla loro comunicazione. L’escursione nell’arte di Elia Festa, filo conduttore di un’epoca in continua trasformazione, testimonia, anche negli aspetti più commerciali del suo lavoro di fotografo, l’evoluzione degli stili di vita e delle prospettive sul futuro di cui per decenni il nostro pensiero si è alimentato. Una creatività che già dagli inizi mette in risalto la cultura della giungla metropolitana milanese, sublimata nel tempo dal nuovo modo di produrre immagini ispirato dalle tecnologie digitali.

SPRING TIME TABLE 90X100 RICICLO – Design e Concept by Matteo Fantoni – Artwork by Elia-Festa©

Nel passaggio dalla fotografia realistica all’iconografia astratta emerge la dimensione poetica di un’artista in cui ognuno di noi può leggere la progressiva trasformazione della nostra società e della consapevolezza individuale nei confronti del pianeta.

Fortunato D’Amico

“Non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti: uomini che un tempo con terra colorata tracciavano alla meglio le forme del bisonte e che nel corso dei secoli fecero molte altre cose”. Così Ernst Gombrich indaga la natura dell’arte e accenna al mestiere dell’artista. Un’enunciazione semplice, comprensibile, lontana dalle descrizioni autoreferenziali, che riporta all’essenza delle cose un mestiere sempre uguale e sempre diverso.

Ernst Gombrich

Arte e artista sono un binomio indissolubile che da millenni accompagna l’umanità nella continua evoluzione del pianeta e nei processi di antropizzazione dello spazio, caratterizzati dalla presenza di artifici tangibili costruiti in sintonia con le esigenze della comunità, e di altri più emozionali, materialmente meno consistenti, adeguati alla trasmissione del sapere, alla comunicazione, alla manifestazione dei moti interiori dell’animo e delle sue passioni. Con il passare del tempo gli strumenti e i prodotti dell’artista cambiano. Le tecnologie alterano i contesti e definiscono i sistemi predisposti alla produzione degli artifici, a loro volta portatori di progrediti codici linguistici, mediatori tra la dimensione metafisica del progetto e la costruzione del mondo. L’arte contemporanea è per definizione in osmosi con gli agenti esterni con cui costruisce la propria rappresentazione. Solo a partire da queste premesse è possibile avviare una seria analisi dell’imponente lavoro fotografico, realizzato da Elia Festa, a partire dagli anni’70.

Elia Festa

La sua attività professionale inizia ancora minorenne al Daylight, studio dello zio Elia Zevio e del suo socio Luciano Murat, affiancandoli sia nel lavoro tecnico che in quello creativo dedicato alla pubblicità. L’imprinting iniziale e fondamentale per la sua l’attività nei decenni seguenti.

Il percorso artistico e professionale di Elia Festa raccontato in questo catalogo ci rende consapevoli della rivoluzione operata

Walter Benjamin

dalla fotografia nel contesto artistico e culturale, che ha alterato il rapporto tra artista e opera d’arte. Ora, in questo terzo millennio, non è più necessario l’uso delle mani per ritrarre l’ambiente esterno, rappresentarlo con tecniche e strumenti manuali e riprodurlo sopra supporti tangibili. E’ anche grazie alla fotografia che la società delle immagini, nata nella camera oscura, dal cinema e dal tubo catodico, ha ribaltato il concetto di opera d’arte e instaurato il modello della società dei consumi. Walter Benjamin intuisce nel suo trattato “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” che la cultura di massa avrebbe rimosso l’aura dalle opere artistiche. A partire dagli anni cinquanta del secolo scorso la macchina fotografica diventerà uno strumento popolare permettendo a chiunque di produrre immagini, allargando il primato del fare artistico dai cultori del disegno e della pittura a quello più ampio degli sperimentatori delle tecniche fotografiche.

Gli artisti, a partire dal loro punto di vista, saranno costretti ad aggiornare i loro crediti accademici ai nuovi mezzi di riproduzione dell’immagine fotografica.

La fotografia, risolvendo velocemente il problema di documentare la realtà esterna in modo più preciso e rigoroso rispetto alla pittura, spinge l’arte del novecento verso la rappresentazione fenomenologica degli eventi e degli universi invisibili e immaginifici. Oggi possiamo dire con certezza che il ventesimo secolo è stato il periodo storico in cui l’umanità ha accumulato un immenso patrimonio iconografico a testimonianza del racconto della vita quotidiana, in tutti i suoi aspetti, come mai era successo prima di allora.

L’arte fotografica registra e protocolla la realtà, la ibrida, congelandola in una struttura ideale e rappresentativa dell’attimo fuggente, icona su cui fissare le proprie attenzioni e le speculazioni sull’eterno flusso della vita.

Condensata nei frames fotografici la documentazione presentata in questa mostra è la traccia evidente della continua trasformazione operata dalla società dagli anni sessanta ai giorni nostri, in cui il testimone, dietro e davanti alla camera è Elia Festa.

Elia-Festa-con-Ibrahim-Kodra-ed-altri-allievi-dell’atelier-di-Positano-1973

La fotografia è per Elia Festa, nato soprattutto a Milano, il linguaggio scelto sin da bambino per comunicare con gli altri, esprimere le proprie conoscenze, raccontare di luoghi e persone. Fotografare è un dialogo tra sé e sé, tra sé e il prossimo. Il viaggio nella sua arte è un percorso a ritroso nel tempo, in cui le immagini attraversano l’ arco temporale dell’esistenza in un preciso momento storico della nostra contemporaneità, costellato di azioni, pensieri, mode, consumi, materiali culturali, che hanno caratterizzato la vita del secolo scorso sino al decennio attuale. E’ Ibrahim Kodra, artista albanese di successo internazionale, trasferito a Milano, ad impartirgli, ancora giovanissimo lezioni di pittura. Quando Elia Festa inizia per la prima volta ad utilizzare una macchina fotografia è un bambino. L’Italia è in pieno boom economico. Milano, la sua città, vive un clima di grande fermento industriale e culturale. Le giovani generazioni lasciano dietro sé l’ombra della Seconda Guerra Mondiale.

Il media televisivo, la scatola delle meraviglie, ha sostituito da poco il focolare domestico nel salotto attorno al quale si riuniva tutta la famiglia, accompagna i pomeriggi dei bambini italiani, che per la prima volta crescono svezzati dalla nuova baby sitter elettronica, aspettando la Tv dei Ragazzi, ipnotizzati dagli sketch commerciali di Carosello mandati in onda dalla Rai la sera, prima di andare a letto. La pubblicità campeggia a caratteri cubitali nel panorama metropolitano. Affissa nei grandi tabelloni collocati lungo le strade principali, sotto i muri del metrò, sopra i tetti degli edifici urbani ed extraurbani, la pubblicità è l’arte demo populistica che consente la condivisione dell’estetica e la livellazione delle differenze culturali tra ricchi e poveri, tra nord e sud.

I rotocalchi della domenica, i fotoromanzi, i quotidiani, le riviste di arredamento, riempiono di immagini le letture da salotto nelle case del Bel Paese. Sdraiati sulle comode poltrone e sui divani progettati dalla nascente industria del design brianzolo, gli italiani, esaltati dal lusso e dall’agiatezza promossa dall’uso dai beni di consumo industriali, sognano la modernità dei prodotti sintetici ma anche la villa in campagna, al lago o in mezzo alla natura.

I ritmi della la vita all’inizio degli anni sessanta subiscono una rapida accelerazione che azzera la cultura e cancella bruscamente i miti del recente passato. I Ragazzi della Via Gluck sono l’allegoria della repentina mutazione genetica dei quartieri periferici collocati a ridosso della Stazione Centrale o nei terreni vicino la ferrovia, aree campestri che improvvisamente ospitano la modernità dell’asfalto e del cemento. La campagna è divorata dall’espansione urbana.

‘I-Ragazzi-della-Via-Gluck’

La metropoli meneghina è assediata dalle automobili che proliferano a vista d’occhio, prendono d’assalto la città, procurano ingorghi, inquinano l’aria, bloccano il traffico sulle strade domenicali del picnic, frantumando il rito della scampagnata domenicale e il consumo del cibo all’aria aperta. La domenica mattina è il giorno della messa. Il pomeriggio invece è dedicato al cinema e alla partita di pallone. Le radioline ronzano nelle orecchie dei tifosi, anche quelli che non sono riusciti a raggiungere lo stadio dove gioca il derby la squadra del cuore.

Elia Festa – self portrait

Distributori di benzina, centri commerciali, elettrodomestici, oggetti di plastica, cibi inscatola, e tutto quello che la società del benessere e del consumo poteva offrire in quegli anni al consumatore, cambiano gli scenari della recita quotidiana, alterano le menti, consegnano visioni a domicilio e aggiornano il vocabolario di riferimento con cui le nuove generazioni progetteranno il futuro.

In questi anni sono ancora molti i milanesi che hanno un cuore e un pensiero non troppo allineato con l’attualità. Sono persone che al viaggio in automobile privilegiano le corse del tram, ai cibi precotti, alla carne in scatola, ai ristoranti self service preferiscono la michetta, il mitico pane comune che dal 1700 ha saziato gli affamati della città, sopravvivendo ai passaggi epocali, alle mode, ai governi, e che tutti i giorni si presenta con la sua fragranza sulle tavole imbandite del capoluogo lombardo.

Elia Festa – Anni ’90

Il sessantotto è alle porte e da li a poco le contestazioni operaie e studentesche investiranno la città al centro del Triangolo Industriale italiano, dilagando in tutto il vecchio continente, risuonando in assonanza con i movimenti giovanili di contestazione degli Stati Uniti d’America. La musica sta cambiando il mondo ed Elia Festa lo sa. Scatta fotografie a gli amici che conosce nella trattoria di Mario Arlati, mentre suonano nello scantinato adibito a locale, frequentato dai cantanti e gruppi musicali emergenti, come La Formula 3, i Dik Dik, i Camaleonti, Lucio Battisti, Demetrio Stratos e tanti altri. Le foto di Elia Festa oggi sono documenti storici che presentano la cultura e lo stile di vita innovativo dei ragazzi cresciuti durante il boom economico.

Agli inizi degli anni settanta la musica e le canzoni sono per i giovani il primo approccio alle forme dell’arte. Suoni, parole, disegni fotografie, copertine di dischi, l’organizzazione teatrale dello spettacolo musicale, rappresentano un mix di strumenti e di attività che affascinano e stimolano la fantasia e la creatività dei futuri professionisti dei decenni che verranno.

Le foto di Elia Festa mostrano altri giovani vestiti come lui, con i capelli lungi, pantaloni a zampa di elefante, eskimo, scarpe a punta o stivaletti. Insieme negli anni settanta attraverseranno la Milano del panettone, delle fabbriche fumanti, dello smog, delle nebbie, dei derby tra Milan e Inter, per arrivare stremati alla fine del decennio. Le nuove generazioni portano con se l’onda rivoluzionaria delle femministe, la lotta di classe, gli Anni di Piombo. Elia passerà indenne questo periodo, senza farsi coinvolgere, impegnato risolvere altri problemi di sopravvivenza.

Campagna-pubblicitaria - Cliente-Bobos-Foto-di-Elia-Festa©-Fine-anni-“70

Campagna-pubblicitaria – Cliente-Bobo.-Foto-di-Elia-Festa©-Fine-anni-“70

L’inizio degli anni ottanta arriva con l’America di Donald Reagan, l’Italia di Bettino Craxi, Silvio Berlusconi, Papa Wojtyla, gli scandali del Banco Ambrosiano e le malefatte di Paul Marcinkus, l’india di Madre Teresa, l’Inghilterra della Principessa Diana. Tutti annunciano i segni della novità. A Milano si cambia marcia. Non più città della nebbia, della fabbrica, degli operai, del commercio, delle banche, della contestazione, dell’economia operosa, ma grande capitale della finanza. Il centro delle attenzioni si sposta dal Duomo e dalla Bela Madunina alla Borsa di piazza Affari.

E’ un momento fondamentale per il futuro di Elia Festa fotografo: la moda, il design, la musica, l’editoria, le costruzioni, la creatività, il commercio, canalizzano gran parte delle energie lavorative milanesi, fomentate e finanziate dalle banche, che finalmente hanno aperto a tutti la possibilità di accedere ai finanziamenti a tassi convenienti.

Intorno a questo cambio economico e di mentalità ruotano le moderne attività professionali legate al sistema della comunicazione. In particolare le televisioni private, le riviste di moda, la pubblicità registrano in questo periodo una grande espansione delle loro attività. Il clima in città è cambiato; lo testimoniano le foto di Elia Festa e con esse anche l’andamento della sua attività e quella degli altri fotografi che si sono consacrati alla comunicazione di massa. Milano riparte dalla politica craxiana che sposa la réclame pubblicitaria dell’Amaro Ramazzotti per dare corpo liquido a una politica del ”riflusso” che metterà a soqquadro l’identità meneghina e anche quella italiana.

E’ necessario dare visibilità agli eventi, sempre più sfarzosi e televisivi che “Milano da Bere” mette in scena per dare risalto all’immagine di una metropoli internazionale e pubblicizzare modelli di consumo culturale.

Elia Festa frequenta Filippo Panseca, il poliedrico artista, ideatore delle scenografie e dell’iconografia che accompagnerà la salita di Bettino Craxi.

Lavori-artistici-per-Filippo-Panseca-Foto-di-Elia-Festa©-Anni-’80_web

La celebrazione del territorio milanese, logo della presunta qualità di vita, di una modernità sempre più edonistica, diventa la mansione principale dei media: giornali, riviste, radio, televisione, pubblicità,fanno a gara per celebrare qualsiasi oggetto e soggetto che scelga come patria della sua affermazione Milano. I fotografi insieme agli stilisti sono le nuove star del palcoscenico mediatico. Giovanni Gastel darà lezioni a tutto il mondo, con il suo stile fotografico, di come progettare in modo surreale l’iconografia che ruota intorno alla moda ed elevarla sugli altari dell’arte.

Milano registra e diffonde qualsiasi avvenimento quotidiano capace di promuovere le tendenze della svolta riformatrice, che ha per epicentro la Terrazza Martini, via Monte Napoleone, via della Spiga. A Brera sono sparite le signore affitta camere che durante il periodo della guerra gestivano le case di appuntamento. Anche i bohémien abbandonano il quartiere e il Bar Jamaica, mitico crogiuolo di progetti e ritrovo di artisti e intellettuali giunti in città da tutto il mondo. Per qualche tempo rimane ancora a presidiare un passato in rapida dissipazione, Mamma Lina, proprietaria del locale, fotografata da Elia Festa mentre sorridente briga le faccende dietro il bancone.

Bar Jamaica – Mamma-Lina-e-personaggi-vari_web

I bar e le trattorie di Brera, prima frequentati da artisti squattrinati in cerca di fortuna, sono ora trasformati in tempio per i turisti, che assediano le vie del quartiere prima e dopo la visita alla celebre Pinacoteca.

La comprensione di tutto il periodo che seguirà sta nell’arte di Elia Festa e delle sue fotografie; queste svelano nei frattali dei recenti decenni lo scenario febbrile di una Milano e della sua popolazione, che ha pensato a se stessa come capofila di un’Italia vicino l’Europa. Le foto ci aiutano a decifrare chi eravamo e come eravamo, e certamente come saremo.

La moda ha bisogno di icone, anche per i bambini e le ragazzine. La Barbie, già dal 1959, è la bambola più famosa al mondo; inserita nella linea di fashion doll influenza e incrementa le vendite dell’abbigliamento femminile sul target della giovane età.

Il-Giornale-di-Barbie – Elia Festa©

Elia Festa collabora con Mondadori e Mattel , con loro realizza Il Giornale di Barbie. La pubblicazione mensile rivolta ad un pubblico di ragazzine è un fotoromanzo in cui si Barbie e i suoi amici vivono incredibili avventure intorno al mondo. La rivista conteneva servizi di moda, suggerimenti, interviste ai personaggi della musica, della televisione e del cinema, Gli anni novanta a Milano hanno termine con la rovinosa caduta di Bettino Craxi, l’inizio del tangentopoli, l’inchiesta Mani Pulite. La città vive per cinque anni una situazione drammatica, ma, come si vedrà alla fine del decennio, questa sembra non alterare la richiesta di pomposi fasti celebrativi e di esaltazione del logo Milano.

Elia Festa, non frequenta solo gli ambienti lavorativi. Il desiderio di comprensione e di analisi dell’universo intorno a lui lo porta in contatto con artisti, studiosi dell’estetica, manager, filosofi, sociologi, antropologi.

Pierre Reatsny – L’Età del Pensiero – 1989 – ©Elia Festa

Pierre Restany, fondatore del movimento del Nouveau Réalisme è, con le sue idee sulla cultura Postmoderna, il punto di riferimento dell’arte milanese di quegli anni, in cui conosce, tra gli altri, Urano Palma, un anti conformista, una persona libera che presto deciderà di vivere lontano dai fasti celebrativi della capitale meneghina.

Elia Festa è affascinato e ispirato dalle opere e dall’immaginazione di questo artista, dal suo comportamento non convenzionale. La sua casa e il suo studio, tra le risaie vercellesi diventeranno una meta costante e luogo di incontri in cui Elia avrà modo di discutere ed esaminare il mondo da un punto di vista differente, meno sottomesso alla quotidianità di quel tempo proiettata al consumismo.

A partire dal 1989 e per tutto il decennio successivo, parallelamente all’attività professionale inizia a sperimentare tecniche per la trasfigurazione dell’immagini verso l’astratto. Questi primi studi fanno ora parte della collezione I Miei Numeri.

Pierre Restany nel 1993 lo esorta a realizzare “Riflessioni”, la sua prima mostra personale alla galleria D’Ars di Milano. Le fotografie in bianco e nero, scattate tra il l’89 e il 91, indagano la condizione dell’essere umano in una società che da un lato spinge gli individui a integrarsi nella massa e dall’altro li fa sentire soli e isolati nella moltitudine.

Mario Giacomelli – 1994 – © Elia Festa

La mostra è l’inizio di una nuova opportunità per condividere con gli altri idee, emozioni, pensieri, che non potevano certo essere comunicati attraverso l’attività rivolta alla pubblicità.

La professione lavorativa ha consentito ad Elia di conseguire una tecnica fotografica ad alti livelli ed ora è pronto per il salto impegnativo della ricerca artistica.

All’Inizio del 1993 inizia la collaborazione con Davide Faccioli, fondatore di Photology, e con lo spazio espositivo milanese, allora in via della Moscova 25. Il lungo cammino compiuto insieme per oltre un decennio è stato documentato dalla mostra e dal catalogo Ho vissuto qui, che raccoglie le immagini scattate ai visitatori della galleria tra il 1993 al 2002. La Habana è una collezione di fotografie scattate a Cuba nel 1995 su richiesta di Davide Faccioli, che testimoniano la sensibilità introspettiva di Elia anche nella fotografia di reportage. La delicatezza della descrizione dell’isola, dei suoi abitanti, di un’esistenza troppo lontana dai prototipi e dai pensieri di casa nostra, rivela l’urgenza di un serio professionista dell’immagine a sconfinare verso i territori dell’arte.

Gregorio Fuentes – il personaggio che ha ispirato Ernest Hemingway per “Il Vecchio e il Mare” – Cuba – 1995 – ©Elia Festa

Un bisogno espressivo che matura nel 2006, in occasione della performance “La corsa di Sizwe Kondhile”realizzata in collaborazione con il regista Salvino Raco. In questa occasione alla Triennale di Milano vengono proiettate le opere fotografiche che hanno per titolo It’s about blood, dedicate a Nelson Mandela e al dolore umano del popolo africano, insanguinato dalla violenza e dalla repressione, mentre lotta per ottenere la libertà.

It’s-about-Blood – ©Elia-Festa

Elia Festa ha iniziato da poco e gradualmente il passaggio dalla fotografia analogica a quella digitale. Nei lavori seguenti il contenuto dell’immagine viene completamente frammentato, come attesta la serie Microbi del 2009. L’indagine viaggia dentro la materia, scopre luci non stereotipate dal cliché convenzionali, apre spazi e visioni inesplorate. Quando a partire dal 2010 Elia Festa inizia a produrre e raccogliere icone per dare corpo alla ricerca che ha per titolo Giants, è ormai convinto che la tecnica tradizionale della fotografia abbia raggiunto i suoi limiti e che solo l’innovazione digitale avrebbe potuto garantire lo sconfinamento verso un novo concetto di infinito.

GIANTS – Le-immagini-auratiche-di-Elia-Festa_2

Dettagli che diventano frattali di cosmi coabitati dentro altri, dei quali percepiamo le superfici ma non siamo preparati a sondarne le profondità, affiorano fluttuanti all’osservazione del ricercatore e si propongono in quanto nuove visioni dell’arte nelle immagini di Anters e Black Lights, prodotte tra il 2010 e 2013. Venice e 2° Generation modificano siluette, architetture, particolari di cui abbiamo famigliarità in forme percettive regolari, nell’atmosfera surreale nella quale è possibile trasformare ogni paradigma all’apparenza immutabile. Nella dimensione spazio temporale di E’ necessario fare respirare la mente la massa si scioglie, si dispone in una situazione fortemente dinamica in cui l’aggrovigliarsi dei fili e lo scivolare dei liquidi corrisponde ad uno stato di avvenuta deflagrazione, causata dalla energia solare e dal calore, penetrata dentro la materia, che genera lo stato di cambiamento. La mente deve respirare, liberare spazio dall’ingombro dei pensieri aggrovigliati dall’inquietudine, cercando l’illuminazione negli interstizi della immaginazione per sprigionare l’energia creativa. Il movimento rigenerativo nasce e si propaga dal vuoto, spazio pneumatico attraverso cui si crea l’equilibrio tra le parti compatte, si costruisce l’ecologia del utopia e dell’etica. L’arte acquista leggerezza e consente all’ingegno di circolare con gioia tra ciò che prima era solido.

È-necessario-far-respirare-la-mente-3 – 2015-©Elia Festa

Il movimento di vitalità che invade l’opera L’Ultima Cena consacra le tracce dinamiche sviluppate da Elia Festa a simbolo del cambiamento epocale e del superamento dei vecchi archetipi, ora innovati dall’uso di nuove tecnologie. Questo lavoro ci invita a rileggere il passato senza occlusioni, non alterandone i significati tramandati dagli antenati, ma mettendoli a confronto con le recenti possibilità offerte dalla ricerca scientifica. Ci aiuta a comprendere come il percorso di consapevolezza del genere umano è storicamente documentato dalla capacità di produrre immagini, che sono sempre lo specchio fedele dello spirito di un Era. La capacità di destrutturare e ricomporre l’immagine rimane il cardine del lavoro alchemico dell’artista. Icons sollecita queste tensioni, apparentemente opposte ma di fatto complementari al corretto funzionamento delle regole che sostengono l’impianto conoscitivo. L’amorfismo dichiarato dalle figure colorate e fluorescenti della serie Mostri Sacri , avverte che siamo in procinto di dare un volto e una fattezze al paesaggio del XXI° secolo, sicuramente qualificato dalla ricorrenza di frequenti viaggi spaziali estesi a tutta la popolazione, dalla progettazione di habitat artificiali assimilati nella natura, da alimentazioni geneticamente modificate, da comunicazioni sempre più etere. Forse stiamo cambiando pelle, come suggeriscono le coloratissime proposte della serie Colours.

Last Supper – 2013 – ©Elia Festa

Stiamo cambiando il nostro DNA.

Le-immagini-auratiche-di-Elia-Festa©_1

La nostra epidermide, soggetta ai continui viaggi, promossi dal nomadismo globalizzante, alle mutazioni cromatiche causate dai cambi del clima, alla vita in spazi chiusi e virtuali, alla qualità del cibo, alle riflessioni di luce differenti e artificiali, è diventata l’emblema della trasformazione dell’Homo Sapiens in Homo Technologicus.

L’arte di Elia Festa comunica la condizione della propria epoca, rivela gli aspetti nascosti, i contenuti, le problematiche, le paure, le speranze e le visioni del futuro, oggi più di ieri pieno di incertezze, che solo la sensibilità degli artisti riuscirà a rendere migliore e più umano.

Fortunato D’Amico

Photo-gallery delle ultime opere di Elia Festa