dell’amico Marco Bertozzi

Cara Francesca,

pensando a qualcosina da scrivere per il vostro coloratissimo Fellini Magazine” riflettevo su una dote che, sempre più, mi sembra emergere dalle mie immersioni negli oceani del tuo Zione. Sai, io l’ho sfiorato solo una volta, e non era un bel momento, ma dalla visione e dalla lettura di tante interviste mi sono fatto l’idea che una sua grande, grandissima dote, fosse quelle di essere intimamente curioso degli altri. Di avere una empatia speciale che lo portava a essere eterno rabdomante dell’ignoto, del diverso, dello sconosciuto. Affascinato dal mistero dell’umano, in un incontro con l’altro dove nessuno dei due diventa giudice o censore, esperto o superiore, ma nella piena mobilità affettiva, nello scorrere della vita così com’è. Senza spiegazioni, senza teorie.

FEDERICO-FELLINI-©-E.CATALANO

Adesso cerco di spiegarmi meglio, perché più lo vedo, più lo ascolto, più mi rendo conto di quanto il desiderio dei suoi incontri “indisciplinati” fosse inesauribile, nella disponibilità alla conoscenza e all’interrogazione del prossimo, anche se sconosciuto. E da questo contatto tra qualcosa che è suo e qualcosa che è portato naturalmente dagli altri, da questo indeterminato vagare nella giostra degli incontri, sgorgasse qualcosa che appartiene proprio a lui, alla sua poetica.

Come se sentisse la prossimità dell’esperienza comune, vissuta nella quotidianità delle relazioni umane, attratto e meravigliato dalla singolarità degli individui, nella loro potente e unica maniera di essere, piena di contraddizioni e vitali cataclismi. E ciò lo portasse sia a creare film meravigliosi, sia a una costante analisi interiore, di osservazione del sé più profondo.

Ma forse tutto ciò aveva a che fare con una concezione del tempo diversa da quella che stiamo attraversando oggi. Lui voleva darsi tempo, dilatarlo, perderlo, cincischiare, tornare su un quesito, attraversare Rimini, o Roma, in auto, senza sapere bene dove andare, organizzare sopralluoghi interminabili, allestire set che durano mesi, film che durano anni… Insomma, restare aperto all’epifanico – a un’idea d’incontro anarchica e innovatrice – per dar corpo all’esigenza di rievocare le fondamentali domande umane sui misteri del cosmo e della vita; sui rapporti fra l’uomo, la natura e ciò che è soprannaturale; sugli aspetti arcaici e sul cerchio caldo delle appartenenze naturali.

Forse oggi questo “perder tempo” (per cui sembrano echeggiare le parole di Vitaliano Brancati quando evocava un tempo «talmente soave che si prova sempre il rimorso di non averlo perduto abbastanza: per quanto io stia seduto in Galleria a non far nulla, ho il sospetto che avrei potuto fare ancora di meno»), questo “perder tempo”, dicevo, lo abbiamo smarrito davvero, immersi in un presente continuo, sommersi dalla performante “comunicazione” digitale ma carenti nell’antica arte delle relazioni umane.

Vitaliano-Brancati

Eppoi l’enorme capacità d’ascolto di Fellini mi sembra all’opposto dello specialismo e del professionismo. Forse, piuttosto, vicina a quella di un moderno cantastorie, che prima ascolta il mondo, in tutta la sua variegata umanità e imprevedibilità, eppoi lo reinventa con le sue immagini in-cantate, in un cinema atmosferico, libero e slegato, ma che respira la vita e la mescolanza degli elementi.

Francesca, mi sembra che proprio il suo volere evitare “spiegazioni”, posizioni ideologiche o sociologiche lo portasse a essere in eterno contatto con l’altro, con tutti gli umani pieni di pensieri e fantasie diverse. E che a orizzonti di lucida certezza preferisse momenti in cui le idee brancolano nel buio, in cui la volontà di essere “in regola”, o “apposto”, o scientificamente “esatto” è lontanissima. Fellini si sente un «disperso fra i dispersi», lontano dall’idea di vita come viaggio spiegato e finalizzato, in una specie di resistenza poetica che fa attrito con tutte le spiegazioni troppo chiare. Il suo anelito riguarda piuttosto un viaggio con occhi stupiti, aperti a ciò che non conosce, come diceva lui «in tutti quegli spicchi di cose che non siamo più abituati a raccogliere, a contemplare, e che ci aggrediscono all’improvviso».

Federico-Fellini

Anche per questi motivi mi sembra che il tuo Zione, il grandissimo Federico Fellini vada sempre onorato, perché lui esprime ancora il fatto che ogni espressione nasce da una relazione di vicinanza, da una collaborazione fra chi narra e chi ascolta, in quel cerchio caldo che è lo stare insieme, così, senza troppe protezioni. E di questi tempi ne abbiamo molto bisogno…

Marco Bertozzi – BIO

Marco Bertozzi è un riminese giramondo… Dopo avere studiato architettura a Firenze, cinema a Bologna, Parigi e Roma ha insegnato in diverse scuole di cinema, sia in Italia che all’estero. Attualmente è professore ordinario di cinema, fotografia e televisione all’Università IUAV di Venezia. Film-maker – ultimi lavori “Predappio in luce”, “Profughi a Cinecittà”, “Cinema grattacielo”, “Mi sono svegliato”  – è un globetrotter del cinema documentario, che attraversa come regista, curatore (conducendo, ad esempio, “Corto reale”, il programma di Rai Storia sui documentari italiani) e teorico (in libri come “Storia del documentario italiano” o “Documentario come arte”). Ha conosciuto Francesca Fabbri Fellini in treno, in un affollato viaggio ricco di chiacchiere fra Rimini e Bologna, taaaanti anni fa… ma ora ci scrive da Montreal, dove è visiting all’Università del Quebec. Recentemente ha curato, con Studio Azzurro e altri, la realizzazione del Fellini Museum e pubblicato “L’Italia di Fellini. Immagini, paesaggi, forme di vita” (Marsilio, 2021).  

Ha scritto vari saggi sull’opera di Federico Fellini, curato Bibliofellini” (la bibliografia internazionale sul regista, in 3 volumi) e fatto parte del Consiglio direttivo della Fondazione Federico Fellini. Attualmente, è co-curatore della Mostra itinerante Fellini100 e fa parte del gruppo – con, fra gli altri, Studio Azzurro, Anteo di Milano e Studio Carpenzano di Roma – vincitore del concorso per la realizzazione del Museo Internazionale Federico Fellini di Rimini.

Francesca Fabbri Fellini

Ambasciatrice nel Mondo dell’eredità culturale dello Zio Federico Fellini

Hola

ecco, nella foto sono un po’ ingessato, il cerimoniale lo prevedeva, c’era anche Mattarella, ma una cosa molto bella è stata quando il Presidente dell’Accademia dei Lincei, Prof. Roberto Antonelli,consegnandomi il diploma, mi ha ricordato “questa è una innovazione!”…E questa innovazione mi ha dato una grande gioia, che vorrei condividere con tutti, perché non si era mai visto che uno scapestrato che studia, scrive, insegna, promuove e ogni tanto prova anche a fare cinema meritasse il premio del “Ministero della cultura” per la critica d’arte e della poesia. Per questo ringrazio i Lincei, e i membri della giuria, ma soprattutto gli amici, e i colleghi e i maestri che ho incrociato in questi trent’anni errabondi, e che continuano a nutrire l’insaziabile demone delle immagini e dei suoi corpi danzanti, e dei suoni, e dei silenzi, che li accompagnano…