di Roberto Chiesi

Nessuno come Martin Scorsese sa raccontare la famiglia come una società criminale e assassina, che manipola i suoi membri nelle forme più vischiose, stringendoli a sé e inducendoli a ogni genere di delitto. Come già in Quei bravi ragazzi (1990), anche in Killers of the Flower Moon (2023) Scorsese adotta l’angolazione di un mediocre, qui il reduce senza eroismo dalla Prima Guerra Mondiale Ernest Burkhart(Leonardo DiCaprio) e lo mette a confronto con un patriarca burattinaio, William Hale (Robert De Niro), talmente bigotto e ipocrita da credere in due verità opposte allo stesso tempo a seconda di quando gli serve l’una o l’altra e avere sempre la preghiera pronta al Signore. Hale manipola Burkhart come se fosse plastilina, lo spinge a sposare la giovane e ricca Mollie Kyle (Lily Gladstone).

Killers-of-the-Flower-Moon_Lily Gladstone-Robert De Niro-Leonardo Di Caprio

La ragazza appartiene alla tribù degli Osage, popolo amerindio che aveva dovuto lasciare le sue terre fra Ohio e Mississippi per stabilirsi, su ordine del governo statunitense, in Oklahoma, a Fairfax, dove nel 1894 aveva trovato casualmente il petrolio e si era arricchita. Ma le loro fortune vengono gestite da tutori bianchi (come Hale) che raccolgono milioni di dollari di profitti. Negli anni ’20 del XX secolo, quando si svolge il film, dozzine di Osage vengono assassinati uno dopo l’altro. Una strategia mostruosa è in atto: i lucrosi “headrights” (i diritti pagati ai nativi americani per l’uso della loro terra) possono essere ereditati dai profittatori che si sono legati alle famiglie dei nativi americani grazie a matrimoni di interesse. Come appunto quello combinato da Haleper il suo nipotino senz’arte né parte.

Mollie-Burkhart-Lily-Gladstone ed Ernest-Burkhart-Leonardo-Di-Caprio

Basato sul libro di David Grann, che ha ricostruito l’orribile ragnatela, sceneggiato dallo stesso Scorsesecon Eric Roth, Killers of the Flower Moon non è soltanto un racconto noir ma è un potente affresco western che rovescia l’epica della frontiera nella sua realtà di genocidio efferato operato dai bianchi sui nativi indigeni. Una tragedia di orrore scellerato dove in nome della famiglia bianca (chiamiamola “famiglia tradizionale”) si arriva a sterminare i membri della famiglia acquisita secondo dinamiche razziste che Scorsese delinea con una precisione allucinante imprimendo al suo film i toni di una denuncia di profonda intensità, mai retorica e mai didattica.

Il nucleo di questo scempio è appunto il legame nefasto fra il burattino Ernest e zio “King” Hale, incarnazione di un capitalismo pronto a tutto. Un legame evocato in un’immagine ricorrente: Ernest che chiede udienza allo zio per strada, in un locale, in casa, in qualsiasi luogo, sempre e comunque, perché dipende da lui come un parassita e quando sbaglia viene punito a colpi di legnate sul culo, come un bambino di sette anni. Le vittime, gli Osage, e in particolare il bellissimo, tragico personaggio della donna tradita infinite volte Mollie (Lily Gladstone è un’indimenticabile maschera di dolore), diventano l’emblema di tutti i popoli minacciati di genocidio per l’aberrante avidità di denaro.

Sono ormai dieci anni che il giovane ottantenne Scorsese allinea un film più bello dell’altro – The Wolf of Wall Street (2013), Silence (2016), The Irishman (2019), film fondamentali per capire la cultura e la storia degli Stati Uniti (senza contare, ovviamente, i film precedenti, alcuni bellissimi, altri meno). Gonfio, succubo e supino, bugiardo con se stesso e il mondo, Di Caprio è perfetto. Raggrinzito e luciferino, insondabile come il Male, De Niro è geniale.


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Roberto Chiesi – BIO

Critico cinematografico e responsabile del Centro Studi – Archivio Pasolini della Cineteca di Bologna, è membro del comitato direttivo della rivista internazionale «Studi pasoliniani» e del comitato di redazione del periodico «Cineforum», inoltre è collaboratore del programma radiofonico di RAI3 “Wikiradio”. Scrive per i periodici «Segnocinema» e «Cinecritica». Ha collaborato al Dizionario Treccani del cinema e alla “Storia del cinema italiano 1970-1975”della Scuola Nazionale di Cinema. Ha curato l’edizione dvd di dieci film della collana Bergman Collection per BIM e, per le edizioni Cineteca di Bologna, de La rabbia (2008), Appunti per un’Orestiade africana (2009, dvd e libro), Fuoco! Il cinema di Gian Vittorio Baldi (2009), L’Oriente di Pasolini (2011), Accattone (2015) (con Luciano De Giusti), Il mio cinema (2015) (con Graziella Chiarcossi) e l’edizione dvd di Salò o le 120 giornate di Sodoma (2015).È autore o curatore, fra gli altri, anche dei libri Hou Hsiao-hsien (Le Mani, 2002), Jean-Luc Godard (Gremese, 2003), Pasolini, Callas e «Medea» (FMR, 2007), Il cinema noir francese (Gremese, 2015), Cristo mi chiama ma senza luce. Pier Paolo Pasolini e Il Vangelo secondo Matteo (Le Mani, 2015), «8 ½»di Federico Fellini (Gremese, 2018), Il cinema di Ingmar Bergman (Gremese, 2018). Ha collaborato ai volumi Lo scrittore al tempo di Pasolini e oggi. Tra società delle lettere e solitudine (Marsilio, 2018), TuttoFellini (Gremese, 2019), Simenon e il cinema (Marsilio, 2020), La sfinge nell’abisso: Pier Paolo Pasolini, il mito, il rito e l’antico (Universalia, 2020), Petrolio 25 anni dopo.(Bio)politica, eros e verità nell’ultimo romanzo di Pier Paolo Pasolini (Quodlibet, 2020), Gettiamo il nostro corpo nella lotta. Il giornalismo di Pier Paolo Pasolini (Marsilio, 2020), Pasolini e Sciascia, gli ultimi eretici (Marsilio, 2021) e recentemente TuttoPasolini (Gremese, 2022).