di Veronica Crescente

Quando un film riesce ad arrivare così in profondità nell’animo umano e a sortire lo stesso identico effetto anche a distanza di anni, a dispetto del continuo mutare del sentir comune, ecco in quel caso definirlo “capolavoro” non è fuori luogo. “La Strada” (1954) non può che essere definito tale; a conferma di questa tesi lo straordinario successo riscosso non solo all’interno dei confini nazionali ma anche all’estero: in Francia divenne La Stradà, in Inghilterra Giulietta Masina venne soprannominata la Female Chaplin, la Charlot donna ad Oscar vinto. I sudditi britannici rimasero estasiasti dalla presenza di Giulietta Masina e Federico Fellini a Londra invitati dalla Regina Elisabetta, fan numero uno della pellicola.

Esattamente come un piatto prelibato non può dirsi tale se a caratterizzarlo non sono ingredienti in grado di valorizzarne i sapori, così anche “La Strada” ha saputo raggiungere il cuore delle migliaia e migliaia di spettatori in tutto il mondo grazie alla magistrale interpretazione di Giulietta Masina, l’indimenticabile Gelsomina. Un successo planetario premiato da un Oscar conquistato parlando un linguaggio universale e che non conosce confini geografici: quello dell’intrinseca semplicità di cui sono fatti i sentimenti e dei quali si nutre, da sempre, l’human sentire.

TRAMA

Protagonisti de “La Strada” sono due girovaghi: Zampanò è uno zingaro che si esibisce per le piazze e nelle fiere di paese come ingoiatore di spade, uomo forzuto e mangiafuoco e la buona e ingenua Gelsomina con la faccia truccata da pagliaccio. Il primo incarna la violenza e la brutalità che fanno dell’uomo un esemplare del tutto simile alla bestia; la seconda è portavoce del sentimento della dolcezza, della delicatezza che finirà per contagiare il bruto donandogli una coscienza. Zampanò la acquista per diecimila lire da una povera contadina a capo di una numerosa famiglia e con difficoltà economiche: la ragazza diverrà spalla degli spettacoli itineranti dell’uomo e, successivamente, la sua amante. La vita della povera donna non è delle più felici.

Zampanò, infatti, la tratta come un oggetto di sua proprietà, la tradisce andando a prostitute però, nel momento in cui la donna, stanca, tenta di scappare da quello che, ormai, è diventato per lei un inferno, l’uomo non esita ad andare a riprendersela. Per fortuna nella sua vita, ad un certo punto, compare Il Matto: un girovago come loro ma dotato di un equilibrio invidiabile unito ad una squisita bontà d’animo dalla quale Gelsomina si sente rapita. Egli darà alla donna gli strumenti per scoprire una nuova se stessa: basteranno poche parole dell’uomo a far nascere in lei un nuovo carattere, unito ad una forza d’animo fino a quel momento sconosciuta. Gelsomina capisce che ognuno viene al mondo con una propria missione, la sua è quella di essere utile a Zampanò nel salvare il suo spirito oscurato dall’ignoranza.

L’incontro tra la donna e il Matto, però, infastidisce parecchio Zampanò il quale, venuto alle mani con il Matto lo uccide senza una ragione apparentemente valida, se non il fatto di essere rimasto accecato dalla gelosia per Gelsomina e lo getta sotto un ponte. Gelsomina assiste alla terribile scena e ne rimane scioccata tanto da sentirsi perseguitata giorno e notte dall’immagine del Matto morente. La donna rimane giorni e giorni in silenzio e, per questo, Zampanò stanco ed incapace di leggere le motivazioni che si nascondono dietro i silenzi, la abbandona sul ciglio della strada. L’uomo continua la sua vita vagabonda con l’incubo di essere arrestato. Solo dopo parecchi anni viene a conoscenza del fatto che Gelsomina è morta.

Si accorge, sulla riva del mare, del terribile tunnel di solitudine nel quale è venuto a trovarsi e di quanto gli manchi la sua Gelsomina e, proprio, in quel momento, fuoriesce dai suoi occhi una lacrima, poi due, poi tre sino a lasciarsi andare a terribili singhiozzi. L’uomo viene posto dinnanzi alla sua parte più sofferente, più melanconica, più vera: per la prima volta sente qualcosa, il suo cuore trema, la sua anima vibra. Da quella sofferenza non può che scaturire una nuova consapevolezza, un nuovo modo di essere consapevole della propria esistenza.

Gelsomina

Al centro della sceneggiatura spiccano due personaggi, Zampanò e Gelsomina i quali incarnano due diversi modi di intendere la vita, due visioni che stanno agli estremi opposti ma che insieme sanno creare qualcosa di unico poiché in grado di arricchirsi reciprocamente. Zampanò, ad esempio, si libera da catene di ferro per guadagnarsi da vivere e finisce con il ridurre in schiavitù la povera Gelsomina sua assistente: quest’ultima viene dipinta come una figura religiosa, asessuata e senza età. Ma di Gelsomina parla anche il suo corpo: di primo acchito essa viene affiancata alla figura di un clown. Il viso tondo e gli occhi grandi ed espressivi permettono il facile paragone con Charlie Chaplin; l’abbigliamento contribuisce a definire il personaggio pervaso da un senso potente ed ironico: la bombetta che ricopre il capo e gli abiti trasandati o, per meglio dire, stracci adibiti ad abiti. Sta di fatto che il successo della pellicola si deve, perlopiù, proprio a Gelsomina: lei, rimase il personaggio preferito da Fellini e, forse, dal pubblico; quest’ultimo chiese a gran voce un seguito e si scatenò la guerra tra i produttori di bambole e di dolci all’acquisto dei diritti sul personaggio giungendo sino al punto di parlare di un cartone animato, anche se Fellini rifiutò le offerte.

Ben presto lo spettatore capisce che, al centro della sceneggiatura, non vi è solo la narrazione del peregrinare degli artisti da un borgo all’altro al fine di guadagnare del denaro ma una denuncia, non dichiarata in maniera esplicita ma desunta dal maltrattamento riservato da Zampanò a Gelsomina, della condizione della donna nel tessuto sociale dell’epoca: la sensazione di fastidio che, da spettatore, si prova dinnanzi ad alcune delle scene più turpi da questo punto di vista, basta già da sola a costituire la denuncia lanciata dal regista e accolta dal pubblico. A personificare la donna oggetto è Gelsomina: venduta dalla famiglia a Zampanò incarna non solo la donna mercificata ma anche priva di quella personalità necessaria a reagire alle ingiustizie del mondo che la circonda, in una società maschilista e insensibile, almeno così sembra prima di giungere al finale.

Se il film si apre con l’immagine di Gelsomina che sta avanzando verso il mare, simbolo di libertà, con gioia, la scena finale presenta sempre il mare con la differenza che quest’ultimo non è davanti ma dietro il soggetto in primo piano, Zampanò. Il volto dell’uomo senza parole esprime una grande angoscia dinnanzi alla scoperta della morte di Gelsomina: è la prima volta nel film che, dal volto di Zampanò, trapela qualche emozione. La presenza, ancora una volta del mare, l’ho personalmente letta come la riproposizione del luogo più amato da Gelsomina; il fatto che Zampanò pianga e si disperi con le spalle rivolte al mare, simboleggia il senso di vergogna provato dall’uomo nei confronti di chi amava senza essersene mai accorto o, più semplicemente, il pentimento per non avere saputo confessarlo alla donna, per troppo orgoglio ed anche per scarsa esperienza con i sentimenti.

Tra Cinema e Canzone

Sull’onda delle emozioni in me suscitate dalla pellicola ho voluto idealmente affiancare a “La Strada” un capolavoro della canzone italiana, “La Donna Cannone” di Francesco De Gregori.

LA DONNA CANNONE (1983)

Butterò questo mio enorme cuore tra le stelle un giorno, Giuro che lo farò,
E oltre l’azzurro della tenda nell’azzurro io volerò. Quando la donna cannone

D’oro e d’argento diventerà,
Senza passare dalla stazione
L’ultimo treno prenderà.
E in faccia ai maligni e ai superbi il mio nome scintillerà, Dalle porte della notte il giorno si bloccherà,

Un applauso del pubblico pagante lo sottolineerà E dalla bocca del cannone una canzone suonerà. E con le mani amore, per le mani ti prenderò
E senza dire parole nel mio cuore ti porterò

E non avrò paura se non sarò bella come dici tu Ma voleremo in cielo in carne ed ossa,
Non torneremo più
Na na na na na na

E senza fame e senza sete
E senza ali e senza rete voleremo via.
Così la donna cannone,
Quell’enorme mistero volò
Tutta sola verso un cielo nero nero s’incamminò.
Tutti chiusero gli occhi nell’attimo esatto in cui sparì, Altri giurarono e spergiurarono che non erano stati lì. E con le mani amore, con le mani ti prenderò
E senza dire parole nel mio cuore ti porterò

Varie sono le motivazioni che mi hanno spinta ad affiancare questa canzone alla figura di Gelsomina: innanzitutto il circo, ambiente che accomuna le due figure femminili (Gelsomina e la Donna Cannone). Le dinamiche che si ravvisano al suo interno sono caratterizzate da una certa contraddizione: se per lavoro deve essere offerto divertimento, dietro alla maschera indossata da coloro che vi operano come professionisti, si nascondono tristezza, vite e storie veramente difficili.

Entrambe le figure femminili sono alla disperata ricerca di un luogo, non importa se reale o mentale, nel quale poter esprimere il proprio amore interiore, un sentimento puro, disinteressato, capace di vedere dove altri non hanno mai guardato, di scoprire cose che altri non hanno mai scoperto, di amare ciò che altri hanno sempre disprezzato: questo “altro” nel film è rappresentato da Zampanò il quale, nello stesso tempo, va ad incarnare la dura realtà contro la quale Gelsomina è costretta a scontrarsi ogni giorno da quando è stata a lui venduta dalla madre.

Dal testo della canzone emerge, inoltre, un’ingenuità di fondo che appartiene alla protagonista, una beata ingenuità oserei dire, che la porta a desiderare di volare nell’azzurro del cielo diventando d’oro e d’argento mentre invece si incammina verso un cielo nero nero (la morte): ecco un altro parallelismo con la figura di Gelsomina. Anche quest’ultima, nella passiva decisione di essere abbandonata da Zampanò, questa la mia personale lettura del mutismo che ha caratterizzato i giorni seguenti all’uccisione del Matto da parte di Zampanò, spera di poter raggiungere la felicità, divenendo d’oro e d’argento, non consapevole del fatto che la vita di stenti alla quale andrà incontro la condurrà alla morte fisica; quella spirituale era probabilmente già avvenuta molto tempo prima. Il viaggio verso l’ignoto intrapreso da Gelsomina inizia prima della sua dipartita, quando viene venduta a Zampanò: in confronto il percorso verso l’aldilà non la spaventa, così come la Donna Cannone non appare spaventata di morire o non tanto quanto il vivere una quotidianità fatta di crudeli certezze.

Il sogno d’amore nutrito da entrambe le figure femminili risulta essere, però, più forte della morte: la Donna Cannone scaraventa il suo cuore fuori dal tendone (così la donna cannone, quell’enorme mistero volò…); con maggiore passività ed in silenzio Gelsomina esce dalla vita di Zampanò. Entrambe incarnano un mistero sia in vita che successivamente: il mistero di Gelsomina si riflette su Zampanò o meglio, sulla drammatica presa di coscienza dell’uomo del suo insaziabile bisogno di sentire e sentirsi vivere, sempre soffocato per paura di soffrire, sensibilità che emerge proprio nello scoprire la morte di Gelsomina. Il sogno d’amore della Donna Cannone e della protagonista della pellicola è più forte della morte, ed anzi sembra trovare in questa dimensione un suo equilibrio (e non avrò paura se non sarò bella come dici tu/ E senza fame e senza sete/ e senza ali e senza rete voleremo via): la Donna Cannone (e Gelsomina) appaiono liberate dai giudizi della gente e dal fatto di essere etichettate come “fenomeni da baraccone”. La Donna Cannone vola via insieme al suo amato, Gelsomina no. In entrambi i casi il senso di vuoto e di insicurezza provato da entrambe sulla terra risulta svanito, al suo posto emerge una sicurezza sentimentale che, nel caso della pellicola, noi spettatori vediamo riflessa nel diverso modo di percepire la vita ed il mondo da parte di Zampanò.

Veronica Crescente – BIO

Giornalista pubblicista, ha conseguito la laurea magistrale in Editoria e Giornalismo all’Università degli Studi di Verona discutendo la tesi “La donna nel cinema di Federico Fellini: musa tra sogno e realtà”. Attratta dalla parola scritta fin da quando sedeva sui banchi di scuola, considera foglio e penna dei formidabili compagni di viaggio. Non le piace fermarsi alla superficie, per questo ama cogliere l’essenza più vera delle persone e delle cose delle quali si circonda, convinta che non solo “la bellezza salverà il mondo” ma che anche la gentilezza disinteressata, la sana curiosità e un pizzico di Rock and Roll possano contribuire ampliamente alla causa.