La Musica del Cinema Muto

di Alfredo Baldi

musica nel film muto

La musica nel film ha sullo spettatore un effetto soprattutto emotivo ed è per questa via che partecipa alla narrazione; essa contribuisce a svolgere il racconto, a commentarlo, a stabilire la relazione emotiva e cognitiva che lo spettatore intrattiene con la storia raccontata. Semplificando, la musica può svolgere una funzione empatica, si identifica cioè con il personaggio e l’azione, diviene come un’estensione e un prolungamento delle emozioni che ne scaturiscono, fino a divenire il riflesso simbolico di queste emozioni, amplificandole: un tema romantico che accompagna una scena d’amore, un tema incalzante su una scena d’azione, ecc. All’opposto, la musica può essere anaempatica, cioè sviluppare sentimenti ed emozioni di segno contrario alle immagini che l’accompagnano, creando tra questi due canali espressivi un effetto di dissonanza. In entrambi i casi, comunque, lo spettatore è stimolato dalla musica abbinata alle immagini in senso emotivo, immediato. Una terza funzione della musica esige invece da parte dello spettatore un ascolto più intellettuale, un’interpretazione. La musica in questo caso è portatrice di valori simbolici che offrono una lettura delle immagini, contiene elementi utili alla comprensione, all’interpretazione, appunto, del racconto. Questa funzione della musica è detta funzione di contrappunto didattico: la musica esprime un concetto e guida lo spettatore alla comprensione di un’idea.

Charly Chaplin_musica nel film muto

Queste modalità di ascolto si amplificano e si evidenziano con maggiore intensità nel cinema muto, poiché qui gli altri canali sonori – dialogo e rumori/effetti – non sono presenti e alla musica è quindi delegato il compito di riempire (addirittura a sovraccaricare, a volte) ogni spazio collegato all’emotività sonora. La musica nel cinema muto è, in conclusione, un mondo: più la si studia, più si scoprono nuove frontiere; più la si ascolta, più ci si avvicina alla comprensione del testo filmico al quale essa è legata.

Ma non tutti la pensano alla stesso modo. Per restare nel campo musicale “alto”, Igor Stravinskij è l’autore della famosa boutade: «Il solo interesse della musica per film è quello di nutrire il suo compositore». Egli infatti in tutta la sua lunga e prestigiosa carriera non riuscì a comporre una sola colonna sonora per film, pur essendosi interessato più di una volta al mondo del cinema. A questo riguardo si raccontano un paio di aneddoti. Chaplin nella sua autobiografia ricorda di aver cercato di coinvolgerlo in un progetto che prevedeva il racconto della passione di Cristo ambientata in un locale notturno. Al termine dell’esposizione di Chaplin, Stravinskij esclamò: «Ma è una cosa sacrilega!». E se ne andò. Qualche settimana dopo, però, il musicista ebbe un ripensamento e scrisse a Chaplin chiedendogli se era ancora disposto a una collaborazione. Ma ormai l’interesse del cineasta era svanito e tutto finì lì. Nel 1942, invece, il compositore accettò di musicare per la Columbia il film Uragano all’alba, regia di John Farrow, un dramma antinazista interpretato da Paul Muni e Lillian Gish. Quando fece ascoltare al pianoforte ciò che aveva scritto, però, la produzione non nascose alcune perplessità poiché la musica, sebbene di alto livello, non appariva del tutto adatta al film. Stravinskijnon fece una piega: si mise sottobraccio i suoi fogli e uscì sbattendo la porta.

Il cinema tende alla dimensione sonora fin dalla sua nascita. Ancora prima che facesse la sua apparizione il cinema proiettato su schermo, nel Kinetoscopio di Edison (1894) la visione delle immagini proiettate all’interno della macchina, che lo spettatore vedeva attraverso un oculare, era accompagnata dalla musica riprodotta da un fonografo. Ma sembra che anche la sera del 28 dicembre 1895 – nel “Salon Indien” del Grand Café, al Boulevard des Capucins a Parigi – data di nascita ufficiale del cinematografo ad opera dei fratelli Louis e Auguste Lumière, vi fosse un pianoforte ad accompagnare le ombre luminose che si muovevano sul lenzuolo bianco appeso al muro. Se non proprio dalla prima sera, certamente dalle successive. Insomma, la necessità del suono si è sempre sentita, non solo per un motivo pratico, coprire il rumore del proiettore, ma soprattutto per ragioni psicologiche, per superare il disagio del silenzio.

Il primo strumento che accompagnò le proiezioni fu appunto il pianoforte che rimase stabilmente presente nelle sale cinematografiche fino all’avvento del sonoro. Gli accompagnatori dei film, veri professionisti del mestiere (uno di costoro fu Dmitrij Šostakovič che iniziò a lavorare a soli 17 anni), di solito improvvisavano seguendo il ritmo e il movimento delle immagini, ma presto si sentì il bisogno di qualcosa di più adeguato. Alcuni pianisti iniziarono a specializzarsi nella costruzione di commenti musicali dei film assemblando brani di differenti autori, scelti a seconda del genere della pellicola. Spesso, poi, questa selezione veniva trascritta e dava luogo a vere e proprie partiture musicali, seppure non originali. Le case distributrici assecondarono questa pratica, approntando appositi libretti, i “music cue sheets”, ovvero “fogli di consigli musicali”, destinati ad accompagnare ogni film nelle sue proiezioni, con l’obbligo per gli esercenti delle sale di far eseguire le musiche previste. Nelle sale di prima visione delle grandi città, invece, la proiezione era molto spesso accompagnata da un’orchestra che eseguiva una partitura originale, quasi sempre composta espressamente per quel film; autori ne erano compositori specializzati in questo genere, ma anche – in casi speciali – compositori di musica “colta”, come vedremo più avanti.

Nei paesini e nelle sale di periferia, poi, le proiezioni erano frequentemente commentate da un imbonitore che spiegava e chiariva i passaggi narrativi del film, non sempre immediatamente comprensibili dagli spettatori dell’epoca, spesso incolti e ancora poco abituati al linguaggio delle immagini. Dobbiamo infatti pensare che nel 1911, ad esempio, ben il 46% degli italiani era analfabeta e la percentuale era naturalmente più alta nelle campagne e nei piccoli centri. Quindi le didascalie dei film, spesso in veloce successione, risultavano inaccessibili alla maggioranza degli spettatori e poteva facilmente risultare incomprensibile la stessa trama del film. In conclusione, il cinema sonoro sostituì uno spettacolo che era solo parzialmente muto.

Al Jolson-The-Jazz-Singer

Il cantante di jazz, primo film considerato “sonoro” della storia del cinema, in realtà era solo cantato e musicato: comprendeva 10 canzoni, 5 brani musicali originali e un accompagnamento orchestrale pressoché continuo durante tutto il film, mentre i dialoghi veri e propri si riducevano a meno di venti secondi. Il film, una produzione statunitense del 1927 della Warner Bros, era diretto da Alan Crosland e interpretato da Al Jolson, un famoso cantante di musical di origine russa che verso la conclusione della pellicola appare vestito e truccato in black face. L’enorme successo del film determinò l’affermazione immediata e definitiva del suono sincronizzato.

Uno dei primi compositori celebri chiamati a elaborare musiche originali per film fu Camille Saint-Saëns(Parigi 1835 – Algeri 1921) che nel 1908 compose il commento musicale per L’assassinat du Duc de Guise, di Charles Le Bargy e André Calmettes, un kolossal per l’epoca anche se la durata era di soli 15 minuti. La partitura – op. 128 per archi, piano e harmonium – composta da un’introduzione e cinque quadri, costituisce uno dei più precoci e cospicui contributi della musica “colta” al cinema muto.

Giuseppe Becce

Notevole anche l’attività di Giuseppe Becce (Vicenza 1877 – Berlino 1973), italiano ma trapiantato in Germania a partire dal 1906, che nel 1913 fu il protagonista, ma anche l’autore delle musiche, di Richard Wagner di Carl Froelich. A lui si devono le musiche di molti capolavori del cinema muto tedesco, come Il gabinetto del Dottor Caligari (1919) di Robert Wiene, L’ultima risata (1924) e Tartufo (1925) di Friedrich W. Murnau, Wege zu Kraft und Schönheit (1925) di Nicholas Kaufmann e Wilhelm Prager, I misteri di un’anima (1926) di Georg W. Pabst. Becce compose musica anche per molti film sonori, come La bella maledetta (1932) di Leni Riefenstahl e lo scandaloso Estasi (1933) di Gustav Machaty, presentato al Festival di Venezia nel 1934, nel quale la bellissima Hedwig Eva Kiesler, più nota come Hedy Lamarr, appariva nature in una lunga sequenza tra boschi e laghetti. Per il cinema italiano Becce ha composto, tra le altre, le partiture di Condottieri (1937) di Luis Trenker e La cena delle beffe (1942) di Alessandro Blasetti.

Per concludere, voglio ricordare che Sergej Ejzenštejn, Grigorij Alexandrov e Vsevolod Pudovkin, eminenti teorici – ma anche famosi registi – sovietici, pubblicarono il 20 luglio 1928, sulla rivista Gisn Isskustva [Vita d’arte], la Dichiarazione sul film sonoro, poi chiamata «Manifesto dell’asincronismo», nella quale si proponeva un uso consapevolmente antinaturalistico dell’elemento sonoro. Vi si affermava che il suono deve presentarsi asincrono e contrappuntistico rispetto all’immagine, poiché la pura e semplice sovrapposizione della musica all’immagine corrispondente non avrebbe fatto altro che trasformare il cinema in teatro fotografato. Così gli autori spiegavano il loro assunto: «Solo l’utilizzazione del sonoro quale contrappunto in rapporto alla scena darà nuove possibilità allo sviluppo e al perfezionamento della regia. I primi lavori sperimentali del cinema sonoro devono essere indirizzati nel senso di una discordanza netta con i quadri visivi. Soltanto il “contrasto” darà la sensazione voluta, sensazione che condurrà poi alla creazione di un nuovo contrappunto orchestrale di quadri visivi e auditivi. […] Il metodo del contrappunto in relazione all’architettura del film sonoro non solo non indebolirà la portata internazionale del cinema, ma porterà quest’arte ad un’altezza ed a una potenza non ancora raggiunte

RESURRECTIO di Alessandro Blasetti

Un’ultima considerazione, non irrilevante. Da quanto abbiamo già detto e da quanto potremo constatare scorrendo, qui di seguito, i titoli

dei primi film e documentari sonori italiani (ma lo stesso è avvenuto, ad esempio, negli USA), è evidente che la transizione dal cinema muto al cinema sonoro è avvenuta grazie alla musica e tramite la musica. I primi film del sonoro sono invariabilmente film musicati, o comunque nei quali l’elemento “musica” è dominante e determinante. Basti osservare, per rimanere in Italia, che i primi due film sonori realizzati in Italia sono La canzone dell’amore, che già nel titolo rimanda esplicitamente alla musica, e Resurrectio, di cui è protagonista un direttore d’orchestra e nel quale l’accompagnamento musicale (musica extradiegetica) e la musica proveniente dall’interno del film (musica diegetica) pervadono ogni momento. Se poi leggiamo i titoli dei primi cortometraggi sonori prodotti dalla soc. Cines tra il maggio 1930 e il dicembre 1931, ben 13 titoli su 26, cioè la metà, rimandano esplicitamente alla musica o al canto.

The_Song_of_Love

Un breve elenco – chiaramente non esaustivo – dei compositori più eminenti che hanno dato il loro contributo al cinema muto non può non comprendere:

musica nel film muto

– George Antheil (Trenton 1900 – New York 1959), per Le ballet mécanique (1924) di Fernand Léger;

– Arthur Honegger (Le Havre 1892 – Parigi 1955), per due film di Abel Gance, La rosa sulle rotaie (1921) e il ciclopico Napoléon (1927);

– Jacques Ibert (Parigi 1890 – 1962), per Un cappello di paglia di Firenze (1927) di René Clair;

– Paul Hindemith (Francoforte 1895 – 1963), per Krazy Cat and Ignatz Mouse at the Circus (1918), film statunitense di animazione; per Im Kampf mit dem Berge (1921), documentario di Arnold Fanck sull’ascensione al Lyskamm, vetta di oltre 4.500 metri nelle Alpi svizzere; infine per il breve film sperimentale di Hans Richter Vormittagsspuk (1928), la cui partitura è andata perduta nel 1933.

– Pietro Mascagni (Livorno 1863 – Roma 1945), per Rapsodia satanica (1917) di Nino Oxilia, il cui commento musicale mostra evidenti reminiscenze wagneriane (uno dei protagonisti maschili si chiama Tristano);

– Darius Milhaud (Aix-en-Provence 1892 – Ginevra 1974), per L’inhumaine (1924) di Marcel L’Herbier;

– Ildebrando Pizzetti (Parma 1880 – Roma 1968), per Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone; in realtà Pizzetti scrisse di suo pugno solo la possente Sinfonia del fuoco per baritono, coro e orchestra, della durata di 12 minuti, mentre la partitura per il resto del film, oltre tre ore, fu composta dal suo collaboratore Manlio Mazza.

– Erik Satie (Honfleur 1866 – Parigi 1925), per Entr’acte (1924) di René Clair;

– Dmitrij Šostakovič (Pietroburgo 1906 – Mosca 1975), per La nuova Babilonia (1929) di Grigorij Kozinčev e Leonid Trauberg.

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Alfredo Baldi

ALFREDO-BALDI

Nato a Roma, ha lavorato dal 1968 al 2007 al Centro Sperimentale di Cinematografia dove è stato dirigente di più settori, tra cui la Scuola Nazionale di Cinema e la Cineteca Nazionale. Studioso di storia e di tecnica del cinema, collaboratore di trasmissioni della RAI, organizzatore di produzioni culturali cinematografiche, è stato docente di “Linguaggio cinematografico” all’Università Sapienza di Roma. Ha pubblicato su riviste specializzate più di cento articoli e saggi, soprattutto sul cinema italiano, ed è autore o curatore di una quindicina di volumi. Sulla censura cinematografica in Italia, che studia fin dagli anni Settanta, ha pubblicato due libri, nel 1994 e nel 2002. Nel 2013 è uscito il suo saggio Le nove vite di Valentina Cortese, dedicato alla grande diva. Nel 2018 e nel 2019 ha pubblicato due libri, dedicati alla storia del Centro Sperimentale di Cinematografia e ai 70 anni della Cineteca Nazionale.

Articoli di Alfredo Baldi

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