di Pietro Bonometto

Beethovens unsterbliche Geliebte – L’immortale amata di Beethoven : una rilettura

Amata immortale di Bernard Rose_1994 – Gary Oldman nella parte di Beethoven

Il 18 marzo 1827, otto giorni prima di morire, Beethoven ricevette cento sterline dalla Società Filarmonica di Londra, come compenso anticipato per un concerto da tenere a suo beneficio. La somma, che il malato accolse con gioia, servì purtroppo solo ad allestire un funerale di prima classe al musicista. Finiva così l’esistenza dell’uomo, e iniziava il mito. Improvvisamente e imprevedibilmente la città di Vienna si rese conto di aver perso qualcosa di importante. Più di ventimila persone fecero ala al feretro, sorretto da otto musicisti tra cui Franz Schubert e seguito dal fiore della cultura viennese, inclusi molti rappresentanti della nobiltà; il poeta Grillparzer stese il discorso funebre che venne letto sulla tomba dall’attore Anschütz.

Se il pubblico riconoscimento è segno del valore di un artista, certamente tale segno non mancò a Beethoven, tanto in vita quanto post mortem. Del resto, la sua figura è la prima nella storia della musica occidentale a testimoniare quei caratteri di indipendenza e di autonomia, in precedenza oscurati dalle necessità di committenza nobiliare

o ecclesiastica, che tramite personaggi come Listz, Chopin o Paganini condurranno direttamente all’isteria cieca e totale verso i divi del contemporaneo music business, sulla scia di Mick Jagger e degli efebici eroi dei Sixties e della Swinging London.

La musica è sempre stata preda prediletta del cinema, sia in forma di biopic che come base programmatica per narrazioni parallele in tema, al seguito di capolavori all’Arancia Meccanica; e la musica classica non fa eccezione. Come esempio illustre, la vita di Bach è stata saccheggiata almeno una decina di volte; ma anche il pallottoliere del “nostro” Verdi conta almeno quattro pellicole (dal Carmine Gallone del 1938 all’ultimo Francesco Barilli del 2000) e perfino un film muto prodotto nel 1913; Liszt e Paganini sono personalità troppo moderne per poter godere dell’immunità dalle tentazioni di regia, anche spinta e provocatoria (ricordiamo solo il micidiale “Lisztomania” di Ken Russell, proprio il Ken Russell di “Tommy”; surreale fino al ridicolo, non a caso annovera Roger Daltrey nella parte di Liszt… e un istrione in odore di classicità come Rick Wakeman degli Yes nella colonna sonora). E infine è impossibile tralasciare la vicenda storicamente discutibilissima ma letterariamente suggestiva, ispirata ad una delle “Piccole Tragedie” di Puškin successivamente musicata da Rimskij-Korsakov, che Miloš Forman riprende in “Amadeus” nel 1984.

Ludwig Van Beethoven giovane

E Beethoven? E’ il Beethoven che da giovane, nuova e sconosciuta stella proveniente dalla remota Bonn, furoreggiava nei salotti viennesi e sbaragliava, durante infuocate competizioni pianistiche, virtuosi all’epoca famosissimi (ma oggi poco ci dicono nomi come Joseph Wölfl, Daniel Steibelt o Joseph Gelinek), intrattenendo veri e propri duelli atletici descritti dal direttore d’orchestra Ignaz Von Seyfried come “quei combattimenti tra animali feroci dello Hetz Amphitheater”? E’ il Beethoven che poteva permettersi di maltrattare i suoi amici e mecenati, il conte Razumovsky, il barone Van Swieten, i principi Lobkowitz e Lichnowsky, rifiutando di suonare su loro richiesta, ancorché civilissima, perché altrimenti si sarebbe sentito un umile funzionario al loro servizio? E’ il Beethoven che, celebre tra le folle della Vienna di Francesco Primo e amico personale nonché maestro di musica dell’Arciduca Rodolfo fratello dell’Imperatore, avrà l’ardire di chiedere a Federico Guglielmo III di Prussia, in cambio della dedica della Nona Sinfonia, l’onorificenza dell’Ordine dell’Aquila Rossa di seconda classe (che gli verrà negata: il musicista riceverà solo un anello con una pietra rossastra del valore di centosessanta fiorini)?

Certamente, perché nemmeno Beethoven è immune dal morbo pandemico della cinematografia. Oltre a Stanley Kubrick, di Beethoven hanno narrato Stein Von Kaminsky (“Louis Van Beethoven”, 2020) e Franco Battiato (“Musikanten”, 2006); Walter Kolm-Veltée (“Eroica”, partecipante a Cannes 1949) e Agnieska Holland (il commovente “Io e Beethoven” del 2007 con la magnifica Diane Kruger, dea incarnata dal fascino inarrivabile sia quando interpreta la tassinara androgina che soccorre Liam Neeson in “Unknown” del 2011, sia quando si scopre donna più bella del mondo, ovvero della Grecia preclassica, in “Troy” del 2004); e anche l’imbarazzante George Tressler (“Il magnifico ribelle” del 1962) e il fantasioso Alberto Baricco (“Lezione 21” del 2008).

Amata immortale – Regia di Bernard Rose_1994

Amata immortale” del 1994, diretto da Bernard Rose (che si riproporrà alla musica eurocolta nel 2013 con “Il musicista del diavolo”, a tema Nicolò Paganini) affronta il tema famoso e spinoso della Unsterbliche Geliebte. La storia si sviluppa con i ritmi del wellesiano flashback multiplo (nella sequenza d’apertura pare perfino che Beethoven, colto sul letto di morte in una scena quasi virata seppia, stia per pronunciare come ultima parola la sua personale Rosebud). L’amico Anton Schindler rinviene tra i documenti nascosti nella casa del musicista una lettera d’amore scritta anni prima a una donna sconosciuta, in previsione del loro incontro nella località termale di Karlsbad. Per affetto verso l’amico mancato, per curiosità, e anche perché la donna è nominata erede universale delle modeste ma appetibili sostanze del musicista, Schindler ne ripercorre tre amori, contattando dapprima le contesse Giulietta Guicciardi e Marie Erdödy, dalle quali ascolta la narrazione delle loro storie sentimentali con Beethoven; e infine la cognata Johanna Reiss, vedova del fratello Caspar Carl e a lungo avversata in quanto ritenuta una ladra e una donna di facili costumi (Beethoven arrivò a toglierle la tutela del figlio Karl). Nel corso dei racconti delle tre donne vengono esposti fatti, vicissitudini e drammi della vita del musicista e delle persone a lui care. Sarà proprio lei, l’odiata cognata, a scoprirsi l’amore nascosto della vita di Ludwig.

Amata immortale di Bernard Rose_1994_6_Gary Oldman e Jeroen Krabbé

La vicenda è storica. Effettivamente alla morte di Beethoven fu trovata, in un stipo della sua ultima abitazione, una missiva redatta a Teplitz in tre tempi, tra il 6 e il 7 luglio 1812, e mai inviata: destinataria la cosiddetta “Immortale Amata”, la dama misteriosa che aveva catturato, per la prima e ultima volta nella sua vita, l’amore totale e totalmente corrisposto del musicista. Assieme al documento furono trovati titoli per un controvalore di qualche migliaio di fiorini (come narrato nel film), il famoso “Testamento di Heiligenstadt” del 1802 e due miniature in avorio recanti due ritratti femminili. Nella lettera Beethoven si esprime con accenti commossi di affetto totale e di dedizione assoluta, per quanto la chiusa lasci gli interpreti in sospeso sulla reale intenzione del musicista di concretizzare il suo amore in forma di matrimonio.

Beethoven_Lettera-all’Amata-Immortale

Maynard Salomon

Attraverso un’analisi scrupolosa, Maynard Solomon suggerisce come destinataria quasi certa la nobildonna Antonie Brentano (una delle due donne ritratte nelle miniature). Nata Von Birkenstock e figlia di un noto statista viennese, Antonie aveva sposato Franz Brentano, un mercante di quindici anni più vecchio di lei, fratellastro del poeta Clemens e della scrittrice Bettina Brentano Von Arnim. Seguendo il marito, Antonie aveva abbandonato la festosa città natale per la cupa Francoforte; ma nell’austera dimora coniugale ella soffriva la cattività di un matrimonio materialmente felice ma psicologicamente oppressivo, e in cambio delle ricchezze domestiche avrebbe accettato volentieri di dedicare la vita a Beethoven, amato fuggevolmente da molte fanciulle ma mai apprezzato abbastanza da giungere alle nozze.

È ormai vox populi il fatto che le relazioni del musicista, vuoi quelle superficiali vuoi quelle più accese, si interrompessero bruscamente quando la giovanetta amata veniva impalmata da personaggi della Vienna bene, artisticamente meno evoluti ma socialmente più solidi. Con un briciolo di malizia si potrebbe perfino supporre che tra le basi del cosiddetto titanismo di Beethoven vi fossero anche le delusioni per i reiterati rifiuti alle sue proposte di matrimonio, che avrebbero rinforzato la decisione di rinchiudersi in una misantropia accentuata dalla sordità incipiente e di dedicarsi esclusivamente alla sua arte magnifica e necessaria.

Ludwig Van Beethoven

Se il valore di un biopic si misura dalla sua complessiva coerenza storica, allora il film di Bernard Rose è un grande film. Un rapido raffronto con l’altra fondamentale pellicola in tema, pubblicata un decennio prima: le idee di Forman sono funzionali a imbastire un intenso psicodramma, ma peccano di limitata veridicità (la basilare, presunta e mai dimostrata rivalità con Salieri, ma anche particolari fastidiosi come l’assurda risata cavallina di Tom Hulce; ed è perfino dubbia l’autenticità del nome Amadeus); Rose rimane più strettamente vicino alla realtà documentata, certo inventando o manipolando nelle scene marginali (le risate del pubblico all’esecuzione del Concerto all’Imperatore, la semplificazione estrema della causa per la tutela di Karl, lo stesso arrivo di Johanna a Karlsbad), ma con una fedeltà invidiabile in altri passaggi. Abbiamo già citato il ritrovamento dei documenti, che fornisce il motivo conduttore dell’intero film; ma anche episodi come il delirio di fanatismo al funerale, sulle note della Missa Solemnis; il bombardamento di Vienna del 1809, nel quale trova la morte uno dei figli della Erdödy; la pubblica esecuzione del Trio opera 70 n.1 nei giardini di palazzo della stessa Erdödy; e soprattutto il viaggio notturno di Beethoven verso la località termale nell’estate del 1812, con la rottura delle ruote della diligenza su una pista buia e sconnessa e il conseguente angoscioso ritardo nell’arrivo a destinazione.

La precisione quasi filologica di Rose ci è nota da altri suoi importanti lavori: il regista è un grande frequentatore di Tolstoj, del quale dirige gli adattamenti di ben tre romanzi (“Anna Karenina”, “La morte di Ivan Ilič” e, attenzione, “La sonata a Kreutzer”, che al di là di quel che ne seppe fare il romanziere russo è un’incalzante opera per violino e pianoforte composta dal nostro nel 1802-3, e che in “Amata Immortale” accompagna proprio il disperato viaggio notturno in diligenza). Ma anche il cast è d’eccezione.

Gary Oldman protagonista di “Amata immortale” di Bernard Rose_1994

La parte di Beethoven viene affidata a un immenso Gary Oldman: Roger Ebert del Chicago Sun-Times, soddisfatto del film (“realizzato da gente che sente Beethoven direttamente nel cuore”) definisce l’attore “perfetto nella parte”; e Janet Maslin del New York Times ne applaude la “figura credibilmente brillante”. Ed è noto quanto Oldman sia un attore mirabilmente proteiforme, essendo riuscito nella sua lunga carriera a immedesimarsi in figure diametralmente opposte come Sid Vicious (“Sid e Nancy” del 1986) e nientemeno che Winston Churchill (“Darkest hour” del 2017: Oscar al miglior attore); con puntatine da protagonista tra i monti della Transilvania (“Bram Stoker’s Dracula” del 1992) e vantando frequentazioni para-shakespeariane (“Rosencrantz and Guilderstern are dead” del 1990).

Le tre signore del film sono interpretate da Valeria Golino (Giulietta Guicciardi, cui l’attrice dona il suo piglio felicemente infantile e giocoso); Isabella Rossellini (la Erdödy, che accoglie Schindler nelle proprie terre d’Ungheria, ospite molto diretta e alla mano, sempre pronta a scambiare una risata e un calice di Tokaj Aszù com’è dovuto per una vera nobildonna. La Rossellini e Oldman intrecciarono sul set una relazione si protrasse per due anni). Ma è l’olandese Johanna Ter Steege a definire con suggestione e maestria un personaggio difficile, sofferto come quello della vedova e cognata. E ne esce una figura meravigliosa, severa ma dolce, forte ma tormentata, contraddittoria ma diretta e sincera (“ho avuto alcuni amanti: non è un crimine”); e bella, spaventosamente bella di una bellezza profonda e pacata, quando si schermisce dall’aggressione del cognato furibondo che sul letto nuziale la vuole incriminata per prostituzione, quando si sforza di nascondere le lacrime al momento del distacco dal figlioletto, quando tenera come una fanciulla di Vermeer volge il capo in una delle scene finali a guardare l’amato che sopraggiunge alle sue spalle.

Amata immortale di Bernard Rose_1994

Certo le tre donne non esauriscono la lista, la lunga lista delle innamorate del musicista. E alcune inquadrature del film, come la parata di giovanette sdilinquite all’ascolto della Sonata Patetica, chiarificano in modo esauriente e convincente i costumi dell’epoca.

Beethoven comparve nell’ultima decade del secolo d’una Vienna pre-restaurazione, una Vienna ancora rischiarata dalla sensazione di liberalità della Aufklärung Giuseppina, quando la rilassatezza e la gaia spensieratezza inducevano probabilmente anche uno spontaneo allentamento dell’oppressione sessuale teresiana. Non a caso nel film molte giovani nobili viennesi sono donne libere nell’interpretare e nel gestire la loro sessualità: un esempio su tutte le contessine Josephine e Therese von Brunsvik, cugine della Guicciardi. Il giovane Ludwig, uomo dalle doti artistiche indiscutibili, dalla personalità scenica prorompente e dal duro e fascinoso cipiglio renano, non poteva non essere oggetto delle attenzioni erotiche di molte delle giovani da lui frequentate anche come maestro di musica; il che gli conferiva ulteriori occasioni di accedere alla loro più nascosta intimità. Il musicista Carl Czerny racconta che, improvvisando al pianoforte, Beethoven “sapeva produrre un effetto tale… che nessun occhio rimaneva asciutto… vi era qualcosa di meraviglioso nella sua espressione”.

Oltre alle già citate Guicciardi, Erdödy e Brunsvik, e oltre naturalmente ad Antonie Brentano, rimangono numerosi nomi di donne amate da Beethoven, con alterne fortune: citeremo solo la baronessina Von Westerholt, la cantante Magdalena Willmann (che lo definì “brutto e mezzo matto”. Ma chi disprezza…), le contesse cantanti Josephine Clary e Christine Gherardi, la principessa Odescalchi; ma anche le borghesi Therese Malfatti, figlia di un famoso medico viennese, e certamente Fanny Giannatasio, nella cui casa paterna Beethoven, già oltre la quarantina, era a pigione; e infine la cantante Amalie Sebald, a lungo papabile come Immortale Amata.

Ma se effettivamente Beethoven era così popolare tra le esponenti del gentil sesso viennese, perché mai non si sposò?

Era un copione d’una regolarità così sconcertante da trasfigurarsi in un cliché. La giovane donna e il magnetico musicista facevano conoscenza in un salotto o ad un concerto; a poco a poco intrecciavano una relazione più o meno intima; la vicenda procedeva via via più spedita ma ad un certo punto qualcosa si inceppava; sicché, di fronte alla proposta da parte di Beethoven, la giovanetta in questione veniva dirottata verso altari più rassicuranti, e il misero pretendente doveva ritirarsi con le pive nel sacco, nell’attesa della prossima occasione e della prossima frustrazione. Una collezione di insuccessi così infallibile da risultare quantomeno sospetta.

Beethoven_Quaderni-di-Conversazione

Un’ipotesi chiarificatrice può venire dai Quaderni di Conversazione, un compendio di domande e risposte che, a partire dal 1817, Beethoven scambiò per iscritto con i suoi interlocutori quando la ormai pressoché totale sordità gli impediva ogni dialogo. Assieme al Tagebuch, diario personale compilato nei cinque anni precedenti, i Quaderni sono un documento prezioso per esplorare la quotidianità del musicista: dal lavoro creativo, in particolare sulla Nona Sinfonia, alle controversie legali con Johanna per l’affidamento del piccolo Karl, ai disturbi legati alle sue infermità.

Alla morte di Beethoven i Quaderni passarono nelle mani di Schindler, che il film di Rose presenta come un fedele amico del musicista, impegnato a scoprirne le vicende intime per rendere giustizia alle sue note testamentarie. Il vero Anton Schindler era un personaggio più ambiguo e sfuggente. Musicista e direttore d’orchestra, forse celatamente omosessuale (Beethoven lo definiva scherzosamente “canaglia samotracia”: i Misteri di Samotracia, associati ai riti cabirici di cui il musicista era venuto a conoscenza in seguito a frequentazioni massoniche, sono caratterizzati da adorazioni falliche da parte di una coppia divina maschile, Cabeiros e il suo coppiere), Schindler fece tesoro, probabilmente in buona fede, della sua frequentazione con il genio e della disponibilità di tanta documentazione per ricostruire una biografia beethoveniana che dettò legge per decenni. Solo nella seconda metà del XIX secolo si seppe che la documentazione era stata manipolata dallo stesso Schindler, il quale aveva intenzionalmente omesso, modificato di suo pugno o perfino distrutto buona parte dei Quaderni; al punto che degli oltre quattrocento originari ne rimangono attualmente solo centotrentasette.

Amata-immortale-di-Bernard-Rose_1994_6_Isabella-Rossellini (Erdody) e Jeroen-Krabbé (Anton Schindler)

La motivazione di tanto scempio va ricondotta a un banale scrupolo dettato dalla prudenza. Essendo strutturati in forma di libere discussioni tra amici o colleghi, alcuni passi dei Quaderni dovevano includere osservazioni considerate infamanti o ingiuriose verso la nobiltà. Effettivamente Beethoven era un accanito sostenitore dell’età dei lumi e un convinto cultore della ragione (è infatti difficile classificarlo come il primo dei romantici), ed era avverso alla nobiltà di sangue al punto da considerare di dedicare della Terza Sinfonia, la famosa “Eroica”, a Napoleone. Egli coltivò a lungo un sogno personale di illegittimità, in base al quale sarebbe stato figlio naturale del Kaiser: ma quando fu convocato di fronte al Landrecht, ovvero il tribunale nobiliare, per discutere la causa dell’affidamento del nipote, Beethoven giustificò l’assenza della patente di nobiltà sostenendo che la propria nobiltà era superiore a quella dei veri nobili, in quanto nobiltà di spirito e di merito (con sommo scorno dell’artista, il caso venne deferito al Magistrat, cioè al tribunale civile dedicato ai comuni cittadini). È davvero possibile che i Quaderni annoverassero anche espressioni estreme proferite dal musicista verso qualche personaggio politicamente illustre, e che la censura di Schindler avesse lo scopo di evitare seccature da parte della polizia segreta di Metternich: in un episodio del film lo stesso Cancellieresciorina a uno stupito Beethoven il rapporto di un informatore, contenente brani di frasario poco ortodosso usati nei suoi confronti dal musicista in un’osteria.

Sappiamo come la storia del Risorgimento trabocchi delle drammatiche conseguenze dei processi intentati dagli Austriaci ai nostri patrioti.

E allora perché i Quaderni non avrebbero potuto contenere anche rivelazioni imbarazzanti sui trascorsi erotici di Beethoven da giovane? Certamente non possiamo sostenere che il musicista fosse uno sciupafemmine: lo negano tanto le testimonianze quanto le sue note attitudini puritane, accentuate negli ultimi anni dall’età e dal vizio della bottiglia (cui Beethoven fu fedele fino all’ultimo). Ma tra un Beethoven sistematicamente rifiutato dal bel mondo, come sostengono la storia e la pubblica fama, e un Beethoven emulo di Don Giovanni e Casanova, la verità sta probabilmente nel mezzo. Non è escluso che in molti frangenti la situazione reale fosse capovolta, e che fossero le famiglie patrizie a spingere le loro giovani a matrimoni riparatori che scongiurassero il disonore di un palese rifiuto da parte di un musicista plebeo: del quale è documentato che si propose come sposo a due sole di loro, la Guicciardi e la Brentano. I trascorsi infantili e giovanili di Beethoven (la madre morta precocemente, il padre prepotente, beone e succube del suocero, la necessità di mantenere i fratelli), lo rendevano sottilmente ostile alla vita coniugale, e pare improbabile che egli abbia accumulato la successione di dinieghi che la storia gli attribuisce.

Ed è proprio a questo riguardo che Bernard Rose centra con acume e sensibilità l’indole erotica interiore di Beethoven. Nel film, il musicista si dedica inizialmente a due amanti di estrazione nobiliare; le quali però ammettono, la Erdödy apertis verbis, di non esserne mai state amate veramente (la Guicciardi è addirittura oggetto di una piazzata furibonda quando viene scoperta ad ascoltarlo di nascosto mentre suona la famosa Sonata Al chiaro di luna). La donna invece cui Beethoven consacra se stesso, dopo un percorso di crescita interiore quasi iniziatico, è proprio Johanna la cognata, la borghese Johanna Reiss, figlia di un tappezziere viennese e nipote per parte di madre di un commerciante di vini dell’Austria meridionale, che nel film è spesso presentata al lavoro manuale o intenta a gestire la contabilità della sua azienda, mentre i nobili sciupano il loro tempo tra pranzi sontuosi, eleganti ricevimenti, passeggiate amene e soirées artistiche.

È un fatto che, alla fine della sua combattuta esistenza, Beethoven fosse giunto a una totale riappacificazione con la cognata. Nel film egli le restituisce ufficialmente dal letto di morte la tutela del figlio, e viene perfino ventilata l’ipotesi che Karl sia figlio di Beethoven anziché del fratello; e Johanna fu davvero una delle due uniche persone presenti al momento del trapasso del musicista.

Johanna Reiss e Karl di Beethoven

Ma il significato della figura di Johanna sopravanza il semplice rapporto con un uomo che vedeva in lei l’occasione perduta per ricostruire la completezza di un’intimità familiare conflittualmente agognata; e non è nemmeno risolvibile nella semplice allegoria della franca vittoria del popolo meccanico sulla gretta e insulsa nobiltà, vittoria con cui Rose rispecchia comunque magistralmente le tendenze illuministe e filorivoluzionarie del musicista. La figura di Johanna risulta appropriata anche dal punto di vista artistico.

La vita spirituale di Beethoven, nei suoi ultimi anni, era gremita di immagini mistiche o esoteriche femminili, come Santa Cecilia o la Iside velata, mutuate dalla massoneria o dalle sue ricche e poliedriche letture. Anche il personaggio di Leonora, che nel Fidelio, unica opera lirica di Beethoven, salva il marito Florestano riconducendolo dall’oscurità della catacomba in cui è imprigionato alla libertà in virtù della forza dell’amore coniugale, è un epifenomeno della preponderante influenza dell’universo femminile nella psiche devozionale del musicista.

E la stessa Johanna, donna lavoratrice e dispensatrice di vita, donna creatrice nella carne come metafora quasi platonica del suo influsso creativo nello spirito, simboleggia quell’afflato al fraterno abbraccio universale che Beethoven esprimerà musicando un testo di Schiller a gloria di un’altra figura femminile, quella Gioia figlia dell’Eliso” e generatrice di luce e di felicità esaltata nell’inarrivabile travolgente finale della sua ultima ed eterna Nona Sinfonia.

Ludwig Van Beethoven

Pietro Bonometto – BIO

Pietro Bonometto, medico ospedaliero, vive e lavora tra Padova e Venezia.

Musicista, compositore e polistrumentista, è particolarmente legato alla musica strumentale del Settecento viennese (Haydn, Beethoven), ma anche a blues e rock anni 60-70. Scrittore da sempre appassionato alla narrativa di ogni genere e periodo storico, ma anche attento cultore di storia delle arti figurative, di cinema e di saggistica storica e scientifica, ha letto alcuni racconti (“Invenzioni”, “Il Predicatore”) come voce narrante con accompagnamento musicale agli incontri culturali della Foresteria Valdese, Palazzo Cavagnis in Venezia.

Ha partecipato a due edizioni del Premio Calvino, ottenendo recensioni positive per la raccolta “Finalmente soli (ovvero come imparammo ad amare la mascherina)”; partecipa all’edizione attuale con il romanzo “Bùgio delle selve” e la raccolta “Arcana Venezia”.