La Maledizione del Genio

di Danielle Dufour Verna*

Di fama internazionale, esposto nei più grandi musei, Antonio Ligabue (1899-1965) è un pittore cruciale nella storia dell’arte. Pittore a parte, uno dei principali rappresentanti della poetica virile e naturalista, i suoi quadri catturano con la loro forza cromatica e la loro apparente semplicità, ma che in realtà sembrano sottendere una complessità di riferimenti culturali, citazioni stilistiche e contaminazioni con diverse arti visive, come il cinema e l’illustrazione. Nei suoi autoritratti, lo sguardo sfida, scuote, è unico, sempre carico di nuove e intense inflessioni psicologiche. Pittore a parte, pittore maledetto, Ligabue rivela una parte intima di noi stessi dipingendo la sua intimità, un genio.

Antonio-Ligabue_Elio Germano_Volevo_nascondermi

Volevo nascondermi

“Dicono che non hai un lavoro, non hai una moglie, non contribuisci in alcun modo alla crescita dell’Italia fascista. “

Con queste parole, nel film di Giorgio Diritti “Volevo nascondermi”, uscito nel 2020, straziante, vertiginoso, assolutamente sublime, con Elio Germano nei panni di Ligabue, il primario che interna forzatamente l’artista nel suo manicomio. Da non perdere.

Privato dell’amore

“Grazie, grazie mille. Non capisci che con un bacio, tutto diventa splendido per me?”. 

1962. Ligabue cammina lungo il suo fiume, il Po, in Italia. Parla agli animali nella loro lingua perché sente di appartenere a loro. Spera di essere come loro e il suo specchio gli dirà se questo è vero. Il leopardo e l’aquila erano i suoi animali. Gli animali vedono le cose come sono. Così Ligabue cercò di trasformarsi in un animale. Una stanza miserabile con pareti fredde. Al centro della stanza, un recipiente di ferro ospitava un fuoco destinato a riscaldare lo spazio. Ligabue si siede su un letto stretto. Indossa una gonna, un grembiule da cucina e uno scialle di cotone bordato di pizzo. Nella sua solitudine, Ligabue inventa la compagna, la donna che non ha mai avuto. Interrogato, risponde che vestirsi così lo fa sentire bene, che è felice così, che più bianchi e fini sono i vestiti, più si sente felice. Ai piedi del letto un enorme cavalletto. Ligabue si alza e vi appoggia una tela parzialmente dipinta. Vediamo la parte superiore di un volto: la fronte calva, i capelli neri, gli occhi, il naso, l’inizio dei baffi. È il suo autoritratto. Si riconoscerà nell’autoritratto. Ma qualcosa, qualcuno, glielo proibisce. Soffre, se ne lamenta e cerca di allontanare l’incantesimo, di liberarsene per potersi esprimere. Emette suoni lamentosi e ovattati, come un animaletto spaventato. I suoi autoritratti urlano, gridano il suo dolore, la sua angoscia, la sua solitudine. Anche dopo la fama, il successo, la macchina, l’autista, il cappotto, il cappello, Ligabue rimane una creatura disperata, sola e senza amore che cerca disperatamente l’amore. Il suo aspetto esteriore è troppo diverso perché qualcuno possa capire cosa sia dentro. Alla taverna dove va qualche volta, chiede a una donna di stargli vicino, di tenergli compagnia. Lui è più felice vicino a lei, dice. Lui si avvicina, lei si allontana: “Hai paura di me? Ti vergogni? Non ti piace stare vicino a un artista?”. Si lascia baciare sulla guancia. “Grazie, grazie mille. Non capisci che con un bacio, tutto diventa splendido per me?” (testo elaborato dalle rare immagini di Ligabue, e da un documentario in italiano, girato nel 1962, tre anni prima della morte dell’artista, Il vero Ligabue).

LIGABUE_ELIO GERMANO_Volevo_nascondermi

Istintivo, demoniaco, pazzo, Antonio Ligabue, un pittore capace di trasportare i suoi demoni sulla tela.

Ligabue rappresenta il mondo animale come il primo atto della relazione tra l’uomo e la natura.

Antonio Ligabue, il pittore ingenuo, il “pazzo” del villaggio, è un pittore che ha vissuto un’avventura particolarmente affascinante, stravagante, bizzarra. In tutti gli autoritratti che Ligabue ci ha lasciato, sembra mostrarsi agli altri, cercare il contatto con gli altri. Il mondo di Ligabue può essere riassunto in questi mondi: quello degli animali e il conflitto tra le bestie selvatiche, il mondo più idilliaco e bucolico della natura e dei campi, quello della fattoria con gli animali e gli autoritratti. C’è un quadro in particolare (collezione privata) dove coesistono due elementi decisivi per la comprensione di questo pittore: la memoria e la fantasia. Il dipinto raffigura la lotta di un falco con una volpe. Qui, in questo elemento narrativo, si trova una delle chiavi per comprendere il mondo fantastico di Ligabue, un pittore malato, solo, non amato; un pittore che reagisce alla sofferenza del suo isolamento con l’aggressività con cui cerca di risolvere la propria timidezza, la propria incapacità di comunicare. È l’esorcizzazione della paura attraverso la rappresentazione della forza. Ligabue si identifica con l’animale che attacca. Il quadro è la rappresentazione lucida della sua nevrosi. Secondo elemento, la memoria, il paesaggio della memoria. Il fascino dell’inserimento di elementi e paesaggi nordici in cui è nato e ha vissuto i primi anni della sua infanzia, dove ha frequentato il singolare Museo di San Gallo in Svizzera, dove ha vissuto guardando gli animali dello zoo, il giardino botanico, elementi che rimarranno sempre nella fantasia di questo affascinante pittore. Le farfalle e i piccoli fiori nel quadro sono tentativi di fuga, e l’immagine drammatica dello scorpione è molto vicina. Gli elementi di questo quadro compongono la sintesi totale di tutte le contraddizioni, la sfortuna e il doloroso destino di quest’uomo. Il quadro è pieno di colore, pieno di vita, la vita che Ligabue cerca disperatamente di raccontare nella fissità e nella violenza drammatica delle sue figurazioni.

Una vita tragica

Ligabue è nato a Zurigo il 18 dicembre 1899 da un’emigrante italiana, Elisabetta Costa, e da un padre sconosciuto. La madre sposò un emigrante, Bonfiglio Laccabue, che riconobbe il bambino, e dal quale ebbe altri tre figli. Quando divenne adulto nel 1942, cambiò il nome del suo odiato padre in Ligabue. Intorno al 1909, i tre fratelli e la madre morirono dopo aver mangiato carne avariata. Antonio rimane solo con suo padre che lo affida a una famiglia svizzero-tedesca. Non sarà mai adottato e manterrà per tutta la vita un rapporto di amore e odio con la sua madre adottiva che lo mandava spesso in un istituto per bambini handicappati, spaventata dalle sue crisi. I problemi psichici e fisici del giovane Antonio provengono probabilmente dalla mancanza di cibo e di cure nei suoi primi anni di vita che compromettono irrimediabilmente il suo sviluppo. Soffriva di rachitismo e di un gozzo. Nel 1919, il consolato lo mandò in Italia per il servizio militare. Riformato ed espulso dalla Svizzera, il prefetto lo mandò a Gualtieri dove arrivò, scortato dai carabinieri. Conoscendo solo la lingua tedesca, gli manca la Svizzera e l’amore di sua madre adottiva. All’inizio vive in una baracca in un bosco sulle rive del Po, dove disegna e si guadagna da vivere come manovale. Nel 1927, Ligabue incontra Renato Marino Mazzacurati, pittore e scultore. Mazzacurati aveva intuito il suo talento. Gli insegna le tecniche di pittura e organizza le prime mostre. In diverse occasioni trovò rifugio nell’ospizio locale dove morì nel 1965. Viveva anche nelle fattorie dei contadini locali che gli davano cibo in cambio dei suoi dipinti. Come artista, ha dato vita a centinaia di opere. Come uomo, le alterazioni della sua psiche malata sono già rivelate. Era selvaggio, solitario, timido, insolente, sporco e soggetto a crisi depressive che spesso lo portavano a ricoveri nel centro psichiatrico di San Lazzaro, a Reggio Emilia. Dal 1945 al 1948, Ligabue vi fu portato dopo una lotta con un soldato tedesco in una taverna, durante la quale il pittore ruppe una bottiglia sulla testa del soldato. La diagnosi: psicosi maniaco-depressiva. Ligabue si è deliberatamente ferito il naso, strofinandolo contro un muro o colpendosi con una pietra. Vuole, dice, creare una forma di becco per un’identità con quegli animali che aveva visto nella sua infanzia, dietro le sbarre dello zoo, sbattendo il becco e la testa contro le sbarre di ferro della gabbia, in cerca di libertà. Molti dei suoi autoritratti portano questa ferita. La passione del pittore? Conigli, animali… auto, moto.

Nel destino di quest’uomo enigmatico e difficile da amare, non mancavano gli amici. Uno di loro, Arnoldo Bartoli, un pittore di Guastalla, Italia, lo ha aiutato e protetto per anni. Quando Ligabue fu rilasciato dal manicomio in cui era stato internato, doveva essere affidato a qualcuno che si impegnasse a prendersi cura di lui. Fu Bartoli a garantire per lui al direttore del manicomio. Così fu a casa di Bartoli che il pittore lavorò e dormì per anni. Studiava un libro in cui erano rappresentati gli animali: le zebre, le tigri nei suoi quadri, l’orango, che era spesso protagonista di lotte furiose con il rapimento delle donne, un tema che nascondeva una delle ossessioni del pittore, quella del rapporto con le donne. Nei suoi primi anni, Ligabue ha scolpito animali familiari con la creta di Po. Si dice che sia ingenuo, ma è vero che sfugge a qualsiasi definizione troppo precisa o troppo rigorosa. Quest’uomo poco istruito, infelice e sospettoso è riuscito a dire ciò che altri hanno tentato invano. Si è unito al filo inutilmente inseguito da molti. Chi lo conosceva dice di lui che portava continuamente la maschera della paura, come se fosse in pericolo di essere aggredito, di essere attaccato in ogni momento. “Quando arrivò nel paese”, racconta uno degli abitanti del paese, “a 20 anni, la gente lo additava come una bestia rara, per ignoranza e senza dubbio per la miseria del dopoguerra. La sua esistenza qui è stata terribile. C’erano alcune persone che lo capivano, ma la maggioranza rideva di lui. “

Antonio-Ligabue_scultore

Il successo

Ligabue ha avuto successo. Ha ricevuto premi, ha venduto quadri. Sono stati realizzati film e documentari in cui lui era il protagonista. Nel 1961, le sue opere furono esposte a Roma. Nel 1963 è colpito da paresi. Dopo diversi ricoveri e internamenti, chiede di essere battezzato. Ormai immobile a letto, mentre la sua fama acquisisce una dimensione internazionale, muore nell’ospizio di Carri de Gualtieri il 27 maggio 1965.

Nessuno può rimanere insensibile davanti a un quadro di Ligabue. L’angoscia, oltre la bellezza, assale, struggente, irreversibile. Ligabue era davvero il falco nel suo dipinto? Non si sentiva forse ferito, intrappolato, distrutto, morente, mezzo mangiato ma ancora vivo come la volpe sotto gli artigli dell’animale? Se Ligabue ha dipinto con tanta forza, è stato senza dubbio per superare la mancanza d’amore che ha segnato la sua infanzia, la sua gioventù, la sua vita. Fino a che punto il bisogno d’amore è responsabile del tormento nella vita di un uomo? Fino a che punto la psiche può resistere alla tortura di non essere stata amata? Come si può non affogare quando questo bisogno esistenziale è inesistente, quando le radici sono tagliate all’osso, quando il mondo in cui si vive è spietato? Forse parlando con gli animali… se solo…

*  Ringraziamo “Projecteur TV” per la collaborazione

Ringraziamo il Museo Antonio Ligabue per l’utilizzo delle foto originali in B/N

Per la tua privacy YouTube necessita di una tua approvazione prima di essere caricato.
Ho letto la Privacy Policy ed accetto