di Roberto Mutti

L’edificio, come capita spesso alle architetture neoclassiche, ha una sua austera grandiosità sottolineata dalla scritta inserita nel frontone che ricorda come sia stato inaugurato nel 1909 alla presenza dell’Imperatore Guglielmo II nascondendo al suo interno sale da ballo, camere e un ristorante in stile Liberty. Il passato, però, ora è solo un ricordo perché il presente emerge prepotentemente come è giusto che sia. Avvicinarsi al quartiere Charlottenburg significa far girare lo sguardo per accogliere da un lato la stazione ferroviaria, dall’altro i giardini del grande zoo cittadino e, un poco discosto, quello che oggi è diventato il “Museum für Fotografie” a Berlino e dove se no.

HELMUT-NEWTON_BERLINO_DSC04471_BN_1_©Graziano Villa

A dire il vero nei duemila metri quadri dello spazio espositivo domina una sola figura, quella fondamentale nella sua grandezza, di Helmut Newton. Facciamoci allora guidare dalle fotografie che Graziano Villa ha realizzato al suo interno con uno spirito che va oltre la pur necessaria documentazione. La sequenza da lui realizzata è una visione in soggettiva di intenso impatto emotivo che tocca tutti i punti salienti della poetica di uno dei grandi maestri della fotografia contemporanea, un autore spesso osservato con poca profondità come fosse solo un pur geniale fotografo di moda e non quell’autentico interprete delle bellezza femminile contemporanea, quel profondo scavatore nei meandri dell’erotismo, quel bravo architetto dell’ironia che è stato.  Graziano Villa, al contrario, non gira tanto attorno al tema e va subito al centro del bersaglio con un’immagine che riprende in un solo pannello tre elementi chiave: un occhio come simbolo, una frase “My biggest love is taking pictures” come programma di vita e l’immagine ripresa da dietro di un piede femminile fasciato in una calza e inserito in una scarpa col tacco come simbolo.

HELMUT-NEWTON_BERLINO_DSC04406_ ©Graziano Villa

Prima di iniziare il viaggio fermiamoci perché qui c’è già tutto Newton: quello che nel 1936, quando ancora di cognome faceva Neustädter, aveva iniziato la sua carriera fotografica come assistente di Else Ernestine Neuländer-Simon meglio nota come Yva. Affermata nel mondo della moda, si segnalava per l’audacia con cui inseriva nei suoi servizi l’immagine della donna emancipata evocando la rivoluzione sessuale degli anni della Repubblica di Weimar e per i raffinati still life di scarpe.

Yva_Selfportrait

Helmut Newton

Non la si cita spesso Else, ma è stata lei la vera ispiratrice a cui Newton ha fatto riferimento e forse a questo punto la risposta che diede alla domanda su quale fosse la parte più sensuale di una donna (“Il collo del piede”) acquista il suo giusto senso perché non era, come forse sembrava, una battuta. Carichi di questa consapevolezza non ci resta che salire la grande scalinata rivestita di rosso, che chissà quanti avranno percorso quando l’edificio ospitò per alcuni anni un casinò, per osservare dal basso in alto le grandi figure di nudo femminili che si stagliano sulla parete. Sfrontate, orgogliose, altere sono invece loro ad osservarci dall’alto in basso come se le fotografie non avessero solo ripreso quelle donne bellissime ma ne avessero fatto emergere tutte le potenzialità nascoste. Sono loro ad indicarci con lo sguardo le teche che punteggiano il percorso espositivo: qui ci sono premi, medaglie, diplomi, più in là un gran numero di passaporti posseduti da chi, nato in Germania, vissuto a Singapore, trasferitosi in Australia per poi abitare a Parigi e infine a Montecarlo, questi documenti li collezionava.

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Un rapido sguardo e beh, anche lui subiva la maledizione delle fototessere: quei ritrattini non gli rendono merito. Curiosamente sono esporti anche gli abiti che indossava – non si dice che una persona la si capisce anche da come veste? – che circondano un vero e proprio gioiello, l’automobile costruita apposta per lui in modello unico firmata Giorgetto Giugiaro con tanto di iniziali intrecciate come un logo al centro del volante.

MUSEO-DELLA-FOTOGRAFIA_HELMUT-NEWTON_DSC04438_w_©Graziano Villa

Inutile dire che ci sono intere pareti dove sono esposte, incorniciate, le innumerevoli copertine di riviste e libri, i manifesti delle mostre e tutto ciò che esiste di cartaceo che lo ricordi, perfino i telegrammi di cordoglio ricevuti da Alice Springs per la morte del marito. Le fotografie? Innumerevoli ed è un piacere vederle esposte però il valore aggiunto – sottolinea Graziano Villa riprendendole con la giusta enfasi – è quando ad alcune si accostano gli oggetti utilizzati nelle riprese come la maschera metallica in una, le scarpe e la pistola in un’altra, a sottolineare il gusto feticistico che costituisce un elemento fondante della poetica di Newton.

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La caratteristica del museo è il gioco di sguardi e lo scambio di prospettive che suggerisce come quando permette di entrare nella perfetta ricostruzione originale dello studio monegasco del fotografo dalle cui finestre si osserva curiosamente il resto del museo e un po’ ci si identifica con lui.

Un ultimo sguardo prima di uscire è per l’esposizione delle sue fotocamere: le Rollei, la Polaroid Land Camera J66 quella grigia con i tiranti, una curiosa panoramica e poi le borse, il treppiede insomma niente di particolare perché, si sa, le fotografie si realizzano con le fotocamere ma si “fanno” con il cervello.

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Alle fine viene spontaneo anche se è bizzarro salutare Helmut Newton perché è un po’ vero che queste fotografie ci hanno accompagnato nel suo mondo e uscendo sembra di sentirlo affermare : “Il desiderio di scoprire, la voglia di emozionare, il gusto di catturare, tre concetti che riassumono l’arte della fotografia”

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Roberto Mutti – BIO

Roberto Mutti

Roberto Mutti è storico, critico e docente di fotografia, attualmente presso l’Accademia del Teatro alla Scala e l’Istituto Italiano di Fotografia di Milano. Organizzatore e curatore indipendente, ha realizzato mostre di giovani promettenti e di autori affermati collaborando con festival, gallerie private e istituzioni pubbliche. Ha firmato oltre duecento libri fra saggi, monografie e cataloghi.
Giornalista pubblicista, dal 1980 è critico fotografico sulle pagine milanesi del quotidiano “la Repubblica”, collabora con diverse testate e ha diretto dal 1998 al 2005 il trimestrale Immagini Foto Pratica. Fa parte dei comitati scientifici di Photofestival Milano, ed è consulente della Fondazione 3M. Ha ricevuto i premi per la critica fotografica Città di Benevento (2000), “Giuseppe Turroni” (2007), Artistica Art Gallery, Denver, Usa (2011) e “Salvatore Margagliotti”, Trapani (2014). Vive e lavora a Milano.

Direttore Artistico : Roberto Mutti del MILANO PHOTO FESTIVAL